"Donne e religioni: tra fede e cultura nei tre monoteismi

Conferenza di Don Francesco Menichetti

1 marzo 2023

Mercoledì 1 marzo 2023  terzo incontro dell’ a. a. 2022/2023 per i Soci dell’ Università della Terza Età Città di Gubbio con Don Francesco Menichetti, dopo quello del 19 ottobre 2022  sul tema “Contatti e distanze, linee comuni e divergenze tra le religioni ebraica, islamica, cristiana” e quello del 7 Dicembre 2022 sul tema “Il culto della Madonna a Gubbio.”

Don Francesco Menichetti nella sua trattazione dal titolo “Donne e religioni: tra fede e cultura nei tre monoteismi” ha commentato il ruolo che la donna ha assunto nel tempo nelle tre religioni monoteiste che si sono sviluppate nel bacino del Mediterraneo, dove la società ha sempre avuto connotazioni patriarcali. In quest’area geografica la preminenza della figura maschile ha costantemente caratterizzato ogni aspetto, culturale, sociale, politico e religioso, come testimoniato ampiamente dalle due più significative civiltà, la greca e la romana.

E in questo contesto, dove la donna ha sempre avuto un ruolo prettamente domestico e significativamente subalterno a quello dell’uomo (con alcune eccezioni nel mondo romano), si devono ricercare le connotazioni che i tre monoteismi, Ebraismo, Islamismo e Cristianesimo, hanno attribuito alla figura femminile.

 

Nell’Ebraismo la funzione sacerdotale è riservata solo agli uomini, perché Adonai ha stretto la grande alleanza con Noè consegnandogli la Thorà e investendolo della funzione sacerdotale che poi è stata trasmessa ad altri uomini. In questo percorso le donne hanno ricevuto solo indirettamente la rivelazione dagli uomini, ma non ne sono mai state protagoniste in prima persona, se non in grandi figure femminili citate nel corso della scrittura. Tuttavia esse non possono indossare paramenti sacri, che assumono una funzione prettamente simbolica, alludendo al ruolo sacerdotale, di responsabilità, di guida e predicazione, appannaggio della figura maschile.

Nell’Islamismo la posizione della donna è fondata sull’interpretazione della Sura 282 del Corano, Parola di Allah, trascritta da Maometto. La Sura in questione afferma: “Chiamate a testimoni due dei vostri uomini o in mancanza di due uomini, un uomo e due donne, tra i testimoni di cui accettate la testimonianza, cosicchè se una dimenticasse l’altra le possa ricordare (il fatto).”

Nel caso in cui i testimoni siano due uomini, dunque, possono testimoniare indipendentemente l’uno dall’altro, mentre se a testimoniare sono un uomo e due donne, esse devono testimoniare insieme, non separatamente e indipendentemente. Infatti per la loro maggiore affettività, al momento di testimoniare, le donne potrebbero cadere in errore e non testimoniare correttamente, cosa che accade più difficilmente quando a testimoniare sono due donne insieme.

L’ interpretazione della Sura si concretizza nell’affermazione che la testimonianza della donna vale la metà di quella dell’uomo e questo avviene per una deficienza congenita alla donna, per la sua innata inferiorità.

Dall’interpretazione successiva della Sura e dalla fusione successiva con norme e culture pre-islamiche nonché dalla formulazione di leggi della Sharia,  la figura femminile è stata fortemente condizionata, uscendone del tutto subordinata all’uomo, sia egli il marito o il padre o qualsiasi congiunto di sesso maschile, da parte del quale se ne legittima il possesso, avvallato da un’altra Sura in cui si dice che: “Gli uomini sono superiori alle donne.” 

Dalle norme della legge islamica discende l’obbligo della velatura della donna, fuori dalle mura domestiche e dentro le mura qualora ci fossero uomini estranei al nucleo familiare.  La pratica non è prevista dal Corano, ma è imposta nel mondo islamico, inserendosi con modalità diversificate nel contesto delle culture del  Mediterraneo a ribadire il dominio, il possesso della donna da parte dell’uomo che le garantisce la sopravvivenza e la sicurezza al prezzo della libertà.

Nel Cristianesimo la posizione della donna ha subito nel tempo delle trasformazioni. Gesù coinvolge molte donne nella sua esperienza terrena, esaltandone il ruolo di discepole, amiche nonché prime testimoni della risurrezione. Dopo la sua morte e resurrezione, ai tempi della chiesa apostolica e fino al III – IV secolo  si formarono molte comunità miste, costituite da uomini e donne, famiglie che vivevano insieme.

Quando il Cristianesimo si istituzionalizzò,  prima con l’Editto di Costantino del 313 e poi con quello di Teodosio del 380, la religione cristiana divenne religione dell’impero e l’apparato ecclesiastico assunse un ruolo istituzionale che si sovrappose a quello già esistente, in cui la donna era completamente esclusa da qualsiasi ruolo attivo. Questa caratteristica si consolidò sempre di più nei tempi successivi decretando la completa esclusione della figura femminile.

Nel Medioevo la posizione si radicalizzò anche a causa dell’interpretazione teologia dell’episodio biblico della caduta in cui la donna è concepita come tentatrice e peccatrice e di alcuni passi delle lettere paoline.

Nonostante la mentalità dominante però tra l’XI e il XII secolo in Europa sorsero dei movimenti femminili che si esprimevano in forme diverse, dall’eremitaggio alla predicazione fino a tentativi di attività pastorale, fortemente contrastati dall’istituzione ecclesiastica, soprattutto quando le donne avrebbero preteso di assolvere le funzioni sacerdotali, in particolare il munus  dell’ insegnamento, riservato agli uomini. Ci furono anche donne eminenti come Santa Caterina da Siena, Santa Brigida, Santa Chiara ma che vennero accettate e  operarono sempre sotto la “supervisione” di una figura maschile di riferimento, come emerge dagli studi di Dinora Corsi in  «Non lasciar vivere la malefica». Le streghe nei trattati e nei processi (secoli XIV- XVII).

Successivamente ci fu un tentativo di valorizzazione della figura femminile e del suo ruolo da parte di Lutero attraverso il sacerdozio comune dei fedeli, ma la Controriforma cattolica che ne conseguì, nel rigetto della Riforma e le sue istanze, tornò a concepire la donna all’interno delle mura domestiche o nel convento, riconoscendole capacità e virtù ma nessun ruolo né funzione.

 

L’excursus storico  proposto da Don Francesco Menichetti si è concluso con molte considerazioni e molte domande da parte degli uditori, che hanno sottolineato l’ urgenza di rivedere e valorizzare il ruolo delle donne che oggi sono sempre più presenti e attive nelle comunità parrocchiali e in quelle religiose, in un mondo che si dibatte tra le spinte verso l’apertura e quelle opposte verso un esasperato conservatorismo. E’ necessario chiedersi perché la donna nasce uguale all’uomo ma, per vari motivi culturali, non riesce ad avere quel “vestito” che le permetterebbe di raggiungere la parità che Dio stesso le ha dato.

Una bella poesia di una donna di grande spessore come Alda Merini ha concluso l’incontro, come omaggio alla donna, vista anche l’imminenza della “Festa dell’8 marzo” prossimo.

 

“A tutte le donne”

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso

sei un granello di colpa

anche agli occhi di Dio

malgrado le tue sante guerre

per l’emancipazione.

Spaccarono la tua bellezza

e rimane uno scheletro d’amore

che però grida ancora vendetta

e soltanto tu riesci

ancora a piangere,

poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,

poi ti volti e non sai ancora dire

e taci meravigliata

e allora diventi grande come la terra

e innalzi il tuo canto d’amore. 

Talled o Tallit

Conosciuto anche come scialle di preghiera, il Tallet o Tallit è il tipico indumento rituale ebraico che risale alle più antiche tradizioni della sua religione: l’origine, infatti, si fa risalire ai tempi della compilazione della Torah. Esso è utilizzato esclusivamente dagli uomini per le preghiere mattutine e per le cerimonie religiose, mentre una sola volta viene indossato durante la preghiera della sera in occasione della celebrazione del Kippùr.

A indossare lo scialle ebraico sono gli uomini maggiorenni, cioè che abbiano compiuto almeno 13 anni come prevede la cultura ebraica: questa, infatti, è l’età in cui un ragazzo ebreo diventa Bar mitzvah, ossia figlio della legge, e assume, quindi, l’obbligo di obbedienza ai precetti. Tra questi, vi è l’obbligo di indossare il talled. Quest’ultimo, in particolare, viene indossato di mattina durante la Tefillah di Shakhrit, di giorno e di sera durante le festività. Il talled viene sistemato secondo un particolare codice: viene sospeso all’altezza della testa e delle spalle, senza però che queste ultime vengano toccate dal velo stesso. Il velo ebraico può essere descritto come una via di mezzo tra un abito e un oggetto rituale. Cambiando più volte aspetto durante le epoche, a seconda soprattutto degli stili, oggi il talled ha un aspetto perlopiù standardizzato. Si tratta, infatti, di un telo bianco con bande laterali nere o azzurre di numero e larghezza variabili.