"Dante e il territorio eugubino: luoghi e personaggi"

Lezione della  Prof.ssa Matilde Pinna

24 maggio 2023

Mercoledì 24 maggio 2023 “Dante e il territorio eugubino: luoghi e personaggi” per i Soci dell’Università Terza Età Città di Gubbio.

Il ciclo di conversazioni, guidate dalla Prof.ssa Matilde Pinna, è iniziato con “Dante, il più popolare degli intellettuali italiani” e proseguito  con  “Invito ad una lettura personale della Divina Commedia”  e “Angeli e Demoni nella Commedia di Dante.”

Il percorso si è addentrato nelle motivazioni che stanno alla base della popolarità del Sommo Poeta e in vari aspetti della sua figura, delle sue opere e del suo immaginario, per giungere ai rapporti intercorsi con la nostra città e con alcuni personaggi e luoghi in particolare.

Notevole la partecipazione dei Soci che, come accade quando Dante è posto al centro dell’attenzione, hanno trovato il modo di approfondire le proprie conoscenze e soddisfare molte curiosità, dimostrando un sempre vivo e stimolante interesse.

Possiamo affermare che Dante ha avuto stretti legami, positivi e negativi, con Gubbio e conoscenza diretta, quasi sicuramente, di luoghi e personaggi, come dettagliatamente illustrato nella allegata RELAZIONE della Prof.ssa Matilte Pinna su  “Dante e il territorio eugubino: luoghi e personaggi."

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CANTE DEI GABRIELLI

Gubbio, 1260 circa - 1335


Frederic Leighton si ispirò a Cante Gabrielli per il suo A Condottiere (1871-1872), oggi al Birmingham Museum and Art Gallery

 

Nel 1290 podestà di Pistoia proprio quando ebbero inizio le lotte intestine fra Bianchi e Neri: primi contatti con Firenze, che lo incluse nell’elenco dei possibili podestà nel 1297, quando il conflitto fra Cerchi e Donati era già pienamente in atto; prima elezione a podestà di Firenze nel 1298, dopo l’incarico a Siena. Nel 1299 ripiegò sulla più tranquilla podesteria di Fossombrone. 

 

“L’anno della definitiva consacrazione fu il 1300 quando Cante guidò le truppe pontificie alla riconquista di Gubbio in mano ai ghibellini. Le conseguenze di ciò non tardarono a manifestarsi: nel novembre del 1301 Carlo di Valois, giunto a Firenze chiamato da Bonifacio per pacificare la città, incaricò il Gabrielli di occuparsi della situazione facendolo eleggere podestà, carica che mantenne fino al giugno dell’anno successivo.”

 (Alberto Luongo- Gubbio nel Trecento). 

 

Podestà di Firenze: 9 novembre 1301- 30 giugno 1302

 

Processi contro i Bianchi: 559 condanne a morte (eseguite in piccola parte per la fuga degli accusati), 600 circa all’esilio e al confino, con conseguente fuga di capitali (si dice che Vieri dei Cerchi abbia portato via 600.000 fiorini d’oro.

 

Le condanne a Dante:

·       27 gennaio 1302: accusa per BARATTERIA, ILLECITI ARRICCHIMENTI, ESTORSIONE; condanna in contumacia a una multa di 5000 fiorini piccoli, confisca e devastazione dei beni, confino per due anni.

·       10 marzo 1302: Dante ed altri quindici Bianchi sono condannati a morte sul rogo per non aver pagato la multa e non essersi presentati a Firenze per discolparsi o confessare.

 

Si trattò, secondo non pochi studiosi tra cui Marco Santagata (Dante-2013), di uso politico della giustizia, il cui obiettivo reale era l’epurazione politica della classe dirigente bianca. 

 «Ebbene, non dobbiamo credere d'aver qui una grottesca rappresentazione della condanna del poeta e del suo bando? Non sono qui rappresentati, senza parere, tutti i vari sentimenti che dovettero sorgere e agitarsi nell'animo di lui allora; e soprattutto il disprezzo per l'infamante accusa? Tutto di questo disprezzo è impregnato il riso, il quale è perciò così grottesco e laido e sconcio: grottesco, laido e sconcio, come l'accusa, la condanna, il bando. […] Come non pensare che questo [il bando “suonato” da Barbariccia] non sia la grottesca parodia dello squillo di tromba del banditore che andò a citarlo a nome del podestà?» (Pirandello, Saggi)

 

Francesco Torraca (Commento alla Commedia, ristampa 1951) vede nel nome di alcuni diavoli una leggera modificazione effettuata dal poeta di «nomi, cognomi, soprannomi de' suoi contemporanei. […]; la famiglia Raffacani era numerosa a Firenze alla fine del sec. XIII; Barbariccia oltre che l'imperatore Federico Barbarossa […] ricorda i Barbadori fiorentini e i Barbarasi di Cremona. […] Rubicante ricorda Rubaconte, nome di un podestà, rimasto ad un ponte di Firenze (Purg. XII 102); e poté anche esser composto di due nomi non infrequenti nella stessa Firenze al tempo del poeta, Ruba e Cante. Il podestà, che condannò Dante nel 1302, fu messer Cante de' Gabrielli da Gubbio»

 

Inferno, canto XXI, vv.118-123

"Tra’ ti avante, Alichino, e Calcabrina",
cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo,
Cirïatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo.

 

 Giosuè Carducci, Giambi ed epodi

A Messer Cante Gabrielli da Gubbio, Podestà di Firenze nel MCCCI

«Molto mi meraviglio, o messer Cante,
Podestà venerando e cavaliero,
Non v'abbia Italia ancor piantato intiero
In marmo di Carrara e dritto stante

Sur una piazza, ove al bel ceffo austero
Vostro passeggi il popolo d'avante,
O primo, o solo ispirator di Dante,
Quando ladro il dannaste e barattiero.

I ceppi per a lui la man tagliare
Voi tenevate presti; ei ne l'inferno
Scampò, gloria e vendetta a ricercare.

Spongon or birri e frati il suo quaderno,
E quel povero veltro ha un bel da fare
A cacciar per la chiesa e pe'l governo.»

(maggio 1874) 


 

BOSONE DE' RAFFAELLI


Raffaelli: famiglia del quartiere di Sant’Andrea, ghibellina e come tale colpita per molti suoi esponenti da bandi di espulsione. Podestà in varie città ghibelline.  

Scarse e frammentarie, allo stato attuale delle nostre conoscenze, le notizie relative a questo uomo politico eugubino amante delle lettere e delle arti, appassionato di Dante, autore fra l'altro di un Capitolo a compendio della Divina Commedia e, con ogni probabilità, di un farraginoso romanzo in volgare, l'Aventuroso Ciciliano.

La storia letteraria ci parla di un Bosone dei Raffaelli, nato a Gubbio sul finire del sec. XIII da nobile e antica famiglia; esponente in vista della fazione ghibellina locale, bandito più volte dalla sua città per motivi politici (nel 1300, nel 1315, nel 1323), podestà di Arezzo (nel 1315, e poi di nuovo dal 13 sett.1316 al marzo 1317), di Viterbo (1317), di Lucca (1319), di Todi (1324);[…] vissuto almeno fino al 1349, anno in cui è citato come vivente in un atto notarile, ma morto prima del 1377, perché in un documento di quest'anno è ricordato come già morto. Secondo una tradizione pure ripresa dalla storia letteraria, il B., cacciato da Gubbio nel 1300, avrebbe riparato in Arezzo, "ove, trovandosi nel 1304 con Dante, pur esule dalla sua patria", si sarebbe a lui legato "di quella stretta amicizia, per cui divenne celebre" (Mazzuchelli); rientrato nella sua città, avrebbe composto nel 1311 l'Aventuroso Ciciliano. Tornato di nuovo in patria, dopo l'esilio comminatogli nel 1315, il B. si sarebbe fermato a Gubbio sino al 1325, quando prevalse nuovamente la parte guelfa. Appunto durante questo periodo egli avrebbe ospitato l'esule Dante, il quale nella casa del nobile eugubino e nel castello di Colmollaro (possesso del B. nel contado di Gubbio) avrebbe scritto "buona parte della sua Commedia", ed indirizzato al B. un sonetto in cui "lodò il suo ospite Bosone, e un suo figliuolo, che verosimilmente ebbe Bosone da Paola degli Ubaldi sua moglie" (Mazzuchelli).

 

Sono, tutte queste, notizie che ben si accordano sia con la data 1310 segnata nel colophon del ms. Laur. Plut. 89 inf. 60, sia con le probabili date di composizione e di pubblicazione delle tre cantiche della Commedia dantesca: tra il 1307 e il 1309, per l'Inferno (glossa latina dei Documenti d'Amore di Francesco da Barberino); tra il 1309 e il 1313, per il Purgatorio; dopo il 1313 per il Paradiso. Brevissimo è infatti il cenno (appena 12 versi) che l'autore del Capitolo "Però che sia più frutto e più diletto" dedica - come a opera conosciuta solo a grandi linee o per excerpta - all'ultima cantica del poema di Dante.

 

PARADISO, CANTO XI, VV.41-54

Quarto cielo, del Sole, spiriti sapienti

Intra Tupino e l'acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,

onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.

Di questa costa, là dov’ ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.

Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.

 

 PARADISO C. XXI, VV.108- 135

Settimo cielo, di Saturno, spiriti contemplativi

 «Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ’ troni assai suonan più bassi,

e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria».

Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continüando, disse: «Quivi
al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,

che pur con cibi di liquor d’ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne’ pensier contemplativi.

Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.

In quel loco fu' io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu' ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.

Poca vita mortal m’era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa.

Venne Cefàs e venne il gran vasello
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.

Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.

Cuopron d’i manti loro i palafreni,
sì che due bestie van sott’ una pelle:
oh pazïenza che tanto sostieni!».

 

 

ODERISI DA GUBBIO

“Magister Odericus quondam Guidonis de Gubbio “


Nato a Gubbio e vissuto prevalentemente a Bologna.

Miniatore, bibliofilo ed “editore”.

Morto nel 1299.

Incontro con Dante nel 1287

 

 

Circa il valore pittorico dell'arte di O., il Bottari (S. Bottari, La cultura di O. da G. e di Franco Bolognese, in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967) richiamò l'attenzione sul peculiare significato che nel testo dantesco assumono le parole ' ridere ' e ‛ pennelleggiare '. " Il ridere in Dante è qualità interna della luce, splendore luminoso dei colori... significa che il colore di Oderisi, per quanto vivo o ravvivato, era ancora legato ai modi della tradizione, e anche della tradizione bizantina, mentre le miniature di Franco risplendevano per la magia degli ori, per il prestigio felice e aperto dei colori " (p. 56). Così l'affermazione che Franco pennelleggia sottintende che O. non pennelleggiava: era quindi più legato alla tradizione disegnativa, in confronto a un Franco che era più libero dal disegno.

 

 

PURGATORIO XI, VV.75-119

Prima cornice, superbi 

Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li ’mpaccia,

e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.

"Oh!", diss’io lui, "non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?".

"Frate", diss’elli, "più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese.

Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.

Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.

Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido.

Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’,

pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.

[vv.108-117]

E io a lui:” Tuo vero dir m’incora

bona umiltà, e gran tumor m’appiani;”

Frederic Leighton si ispirò a Cante Gabrielli per il suo A Condottiere (1871-1872), oggi al Birmingham Museum and Art Gallery

Castello di Colmollaro

possesso di Bosone de' Raffaelli nel contado di Gubbio

Miniatura