Invito ad una lettura personale della Divina Commedia

Conversazione della Prof.ssa Matilde Pinna

11 Maggio 2022

"Invito ad una lettura personale della Commedia di Dante aldilà dei luoghi comuni." Questo il titolo della conversazione che la Professoressa Matilde Pinna ha tenuto mercoledì 11 maggio 2022 per i Soci dell'Università della Terza Età Città di Gubbio, facendo seguito a quella del 16 febbraio scorso sul tema: "Cosa ha reso Dante l'intellettuale più popolare d'Italia?"


Ecco di seguito una traccia che la Professaoressa Pinna ha gentilmente messo a disposizione per poter rendere sempre fruibile quanto argomentato.

"Nell’incontro precedente, qualcuno lo ricorderà, abbiamo detto che la Commedia si è diffusa subito tra la gente del popolo. Questo potrebbe indurci a credere che sia un’opera di facile lettura che non dà particolari difficoltà interpretative. Ma per noi, oggi, così lontani dalla mentalità medievale, non è così: ci sono differenze quasi ovvie, come quelle connesse all’evoluzione della lingua. In sette secoli è scontato che il volgare di Dante e l’Italiano di oggi siano in parte difformi. Ma ovviamente c’è molto altro.

Comunque cerchiamo di chiederci come un lettore contemporaneo può avvicinarsi al poema, partendo da come NON leggerla.

Abbiamo detto che la struttura narrativa è quella di un viaggio in un certo senso d’avventura, che il protagonista compie nell’aldilà attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso in un tempo preciso, la Settimana santa del 1300, anno del primo giubileo moderno. In questo viaggio è accompagnato da due guide, il poeta latino Virgilio nei primi due regni, Beatrice, la donna amata in gioventù, nel Paradiso. Poi alla visione di Dio, sarà guidato da San Bernardo, grande mistico compositore della preghiera dell’Ave Maria.

 È una storia che inizia con lo smarrimento della ragione, ma che poi, attraverso prove, sofferenze e l’incontro con tante anime, ha una conclusione positiva, dal male al bene. Dante incontra diavoli e angeli, dannati e santi, personaggi oscuri o famosi, antichi o a lui contemporanei.

La vicenda è avvincente ma non possiamo leggerla come un romanzo, perché subito ci si rende conto che spesso bisogna fermarsi e porsi delle domande: cosa significa quest’episodio? E questo lungo discorso di un personaggio? Noi intuiamo che ci sono SIGNIFICATI NASCOSTI, anche senza essere specialisti.

Il SIMBOLISMO MEDIEVALE

Entriamo un attimo nella mentalità medievale: l’uomo medievale ha un’idea per così dire misteriosa della natura e degli eventi: oltre e aldilà delle apparenze tutto significa altro. La società medievale, profondamente religiosa, concepisce la realtà come un complesso di segni, dietro i quali si celano una verità trascendentale e un messaggio spirituale. È il cosiddetto simbolismo medievale, secondo il quale le cose hanno un significato proprio, storico e reale, ma significano anche altro, come d’altronde la Bibbia, che va di volta in volta disambiguata. Lo studioso tedesco Eric Auerbach per primo ha messo in evidenza questo meccanismo, basandosi proprio sull’interpretazione dei testi biblici per poi dimostrare che anche nella Commedia dantesca esiste un analogo procedimento. Poi lo stesso Dante, nell’ epistola a Cangrande della Scala e nel Convivio (libro II) parla di quattro sensi delle scritture, il SENSO LETTERALE, MORALE, ALLEGORICO E ANAGOGICO, invitando quindi il lettore a non fermarsi mai al primo significato delle vicende. Senza addentrarci in eccessivi tecnicismi, voglio farvi riflettere su un episodio famosissimo del poema per inquadrare il fenomeno. Continua a  leggere.

Nella selva oscura, all’inizio del poema (canto I) Dante è ostacolato da tre fiere, una più terrificante dell’altra: una lonza, cioè una lince, un leone ed una lupa che ostacolano la sua salita verso un colle illuminato dal sole con terrore via via crescente. Tre belve che comunque ci spaventerebbero, ma subito capiamo che c’è altro: perché tra le tre la più temibile è la lupa? Sarebbe così nella realtà? No. Allora comprendiamo che c’è dell’altro dietro la prima immagine: le tre fiere incarnano tre peccati, uno più grave dell’altro, la lussuria, la superbia e la cupidigia. Ecco che comprendiamo perché la lupa è la più terrificante, tanto che Dante senza l’aiuto di Virgilio tornerebbe indietro, è il simbolo dell’attitudine più peccaminosa dell’uomo, la CUPIDIGIA, da cui deriva tutto il male del mondo. Finché non sarà rigettata nell’inferno il male non sparirà. Solo un grande riformatore che nella finzione narrativa è un veltro, un cane da caccia, respingerà la lupa nell’inferno. Chi si celi dietro questo simbolo non lo sappiamo, però abbiamo ben chiaro che l’avidità è il peccato dei peccati, ben più grave della lussuria e della superbia, e che solo un individuo straordinario può operare quanto meno per contenerla.

Se poi ci interroghiamo perché Dante sceglie proprio quelle guide, anche in tal caso capiamo che non è sufficiente fermarsi alla superficie della storia. Se in qualche modo comprendiamo il ruolo di Beatrice (canto II, vv. 59 e segg.) perché già il suo nome contiene una missione, è Beatrix, colei che dona la salvezza, ed è la sua morte precoce che spinge Dante a sceglierla, perché è sicuramente innocente e simbolo dell’assenza di peccato, ci pone dei dubbi la scelta di Virgilio (canto II, vv. 79 e segg.). Il grande poeta latino è salutato da Dante con parole entusiastiche: “ lo mio maestro e ‘l mio autore, tu sei colui da cui io tolsi lo bello stilo che m’ha fatto onore”; quindi Dante collega prima di tutto a lui la sua personale gloria poetica ma soprattutto vede in lui altro: Virgilio era pagano, morto nel 19 a. C. non poteva essere diversamente, ed ha incarnato tante virtù eccetto l’unica che può portare l’uomo in Paradiso, la fede, quindi lo potrà accompagnare solo fine alle soglie del Paradiso cui lui non può accedere ed accompagnando Dante gli dimostra questo aspetto fondamentale per la sua salvezza e per quella dell’umanità di cui Dante nel suo viaggio è incarnazione.

Non voglio soffermarmi di più su questo aspetto, ma leggendo la Commedia è bene porsi sempre domande sui significati reconditi che per noi moderni possono apparire problematici.

Passiamo ad un altro aspetto: l’opera ha avuto un tale successo che noi ci siamo abituati ad immaginare l’aldilà con tinte dantesche, popolato di peccatori e beati distribuiti secondo il meccanismo del contrappasso, cioè un rapporto preciso di corrispondenza per analogia o per opposizione tra comportamenti in vita positivi o negativi e pena o premio nella vita eterna. In sostanza il rischio è considerare il poema come una sorta di catechismo della Chiesa cattolica in versi. Niente di più sbagliato, innanzitutto perché sarebbe una lettura anacronistica, fuori dal tempo della composizione per ridurre il poema a precettistica cattolica. Poi perché Dante, certamente animato da una fede incrollabile, ebbe tuttavia uno spirito fortemente critico nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche e una mentalità che noi chiameremmo laica. In numerosi passi delle tre cantiche scrive versi durissimi contro papi e uomini di chiesa che per la loro avidità e brama di potere hanno trasformato la chiesa, la sposa di Cristo, nella grande meretrice. Non a caso nel periodo post-tridentino Dante fu sospettato quasi di eresia. Il caso più eclatante è quello di papa Bonifacio VIII, che colloca addirittura tra i simoniaci, coloro che hanno fatto mercato delle cose sacre, insieme ad altri meno famosi. ( canto XIX dell’Inferno)

L’autorità di papi e vescovi viene spesso messa in discussione, mentre nella Commedia troviamo l’esaltazione di buoni non cristiani, collocati nel Limbo, un luogo separato dall’Inferno e in qualche modo privilegiato anche se non felice; di questa schiera fa parte l’amatissimo Virgilio e i grandi filosofi dell’antichità come Platone ed Aristotele e perfino filosofi musulmani come Averroè ed Avicenna.

Ma ciò che ci colpisce di più è l’assoluta libertà con cui Dante distribuisce le anime, libertà che segue spesso un criterio opposto a quello delle gerarchie ecclesiastiche, come se solo lui conoscesse la mente di Dio. Così troviamo santi all’Inferno e assoluti peccatori in Paradiso. Vi cito  famosissimi esempi: Celestino V, Manfredi, Bonconte da Montefeltro e Catone l’Uticense.

Il primo: (Inferno, canto III, vv. 52 e segg.) nell’antinferno Dante e Virgilio si trovano tra gli ignavi, peccatori così ripugnanti che sono fuori dall’inferno perché i dannati avrebbero qualche merito rispetto a loro. Tra essi incontrano l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto; non cita il nome ma il “vidi e conobbi” che segue fa capire che è un personaggio che Dante può riconoscere, quindi viene identificato dalla maggior parte dei commentatori in Celestino V, papa che abdicò aprendo la via al pontificato di Bonifacio VIII, peccato gravissimo ed imperdonabile per Dante, mentre per la chiesa ufficiale è santo.

Il secondo (Purgatorio, canto III, vv.106 e segg.), Manfredi, re di Sicilia figlio dell’imperatore Federico II, era morto scomunicato nel 1266 combattendo a Benevento contro papa Clemente IV, e proprio perché scomunicato il suo cadavere era stato disseppellito e gettato fuori dei confini dello stato della chiesa per ordine del papa, perché destinato all’Inferno. E invece Dante lo colloca nel Purgatorio perché prima di morire si era pentito e Dio lo aveva perdonato. Una terzina famosissima sintetizza la vicenda; dice Manfredi: “ Orribil furon li peccati miei;/ ma la bontà infinita ha sì gran braccia,/ che prende ciò che si rivolge a lei”. Si sottolinea così la misericordia divina, che non si rispecchia invece nelle scelte delle alte gerarchie ecclesiastiche dominate prevalentemente dalla brama di potere. Analoga sorte tocca ad un altro famoso malvagio del tempo, lo spietato capitano di ventura Bonconte da Montefeltro (Purgatorio, canto V, vv. 88 e segg.) che morì nella battaglia di Campaldino nel 1289 e il cui cadavere non venne mai ritrovato: perché? L’anima racconta che morendo la sua vita finì nel nome di Maria, quindi Dio lo perdonò e l’angelo portò la sua anima al Purgatorio, ma arrivò un diavolo irato per la perdita di un dannato che quindi fece scempio del suo cadavere.

Ma l’esempio più significativo della libertà di giudizio di Dante è Catone l’uticense (Purgatorio, canto I),generale romano, pompeiano, morto suicida ad Utica nel 46 a. C. per non sottomettersi a Cesare.  Catone ha due colpe gravissime per la mentalità del tempo di Dante: non era cristiano e si era tolto la vita. Nell’Inferno c’è la selva dei suicidi dove Dante colloca tante figure tra cui il famoso poeta siciliano Pier de le Vigne. Ma la sorte di Catone è completamente diversa: un pagano, suicida svolge addirittura la funzione di sovrintendente del Purgatorio (chiede a Dante e Virgilio perché uscendo dall’inferno sono giunti alle “sue grotte”, successivamente li rimprovera perché perdono tempo mettendo in difficoltà perfino Virgilio) e andrà di sicuro in Paradiso quando con il Giudizio universale la sua “ vesta sarà sì chiara”, sarà cioè collocato tra i santi”. Come è possibile una tale differenza?  Questo certamente per il valore simbolico del suo suicidio. Egli si era suicidato in nome della libertà politica, per non sottomettersi al vincitore Giulio Cesare che si temeva volesse annientare la repubblica romana, cosa che in realtà poi avvenne con Augusto. Questo avvenne nella storia, ma il Catone del poema è in un certo senso lo sviluppo del suo destino: è colui che può guidare Dante, e quindi tutta l’umanità, alla vera libertà, quella dal peccato, completamento della libertà politica, e quindi giustamente sovrintende al Purgatorio.

Come si vede il metro di giudizio non è quello più comune, ma è come se Dante interpretasse i fatti da un altro punto di vista, in un certo qual modo dall’alto, da colui che come lui stesso afferma, “dal tempo è andato all’eterno” e in un certo senso rispecchia la mente di Dio.

Quindi come leggere la Commedia?

Esistono migliaia di approcci, tante Lecturae Dantis da quando Giovanni Boccaccio ha cominciato nel Trecento a leggerla pubblicamente, ma non esiste un modo esemplare, migliore di altri. Famoso è l’esempio di Italo Calvino, uno degli intellettuali più lucidi del Novecento, che già dai tempi del liceo si avvicinava alla Commedia stendendo sul banco 5-6 commenti, proprio per dimostrare che non c’è un solo modo di interpretare quel testo. É essenziale trovare la propria chiave interpretativa.

Ricordiamoci che in primis è poesia, straordinaria poesia, che certamente ha finalità educative ed etiche, ma suscita nel lettore profonde emozioni che accendono la curiosità e l’interesse.  É anche una sfida alla nostra capacità di riflettere e comprendere, ma ciascun lettore può di volta in volta immedesimarsi in personaggi e situazioni in base alla propria sensibilità e alle proprie convinzioni senza pregiudizi e luoghi comuni."