Dante, il più popolare degli intelletuali italiani

Lezione della Professoressa Matilde Pinna

16 febbraio 2022

"Dante, il più popolare degli intellettuali italiani"

Mercoledì 16 febbraio 2022 la Professoressa Matilde Pinna è intervenuta nella sala ex Refettorio della Biblioteca Comunale con una presentazione sul tema "Dante, il più popolare degli intellettuali italiani", tesa a "spiegare perché risulti tanto popolare e in che senso si possa usare per lui questo attributo". 

Il tema è risultato molto interessante e gradito in quanto,  purtroppo, la nostra Università non aveva potuto affrontare alcun aspetto connesso con il nostro sommo scrittore nell'anno trascorso, in cui si è celebrato il settecentenario dalla morte, a causa della sospensione degli incontri per l' emergenza sanitaria. 

La Professoressa Pinna ha guidato gli ascoltatori ad una coinvolgente comprensione dell'argomento, con la chiarezza che deriva da una conoscenza approfondita ed appassionata.  

Ha quindi gentilmente messo a disposizione una traccia utile a ripercorrere i momenti principali del suo intervento. (si può leggere di seguito)

Non è semplice parlare di Dante oggi, dato che nell’anno appena concluso le celebrazioni del settimo centenario dalla sua morte si sono manifestate con un pullulare di iniziative.

Convegni, letture pubbliche, mostre, percorsi naturalistici e perfino gastronomici nel nome di Dante sono fioriti in località grandi e piccole che abbiano in qualche modo avuto a che fare con il poeta. Gubbio, per la verità a buon diritto, non ha fatto eccezione: il recente festival del Medioevo “IL TEMPO DI DANTE” ha avuto uno straordinario successo. Sia detto per inciso, Gubbio a buon diritto si è occupata di Dante, sia per l’amicizia non ancora del tutto certa con Bosone de’ Raffaelli, sia per il ruolo invece del tutto comprovato e centrale nella vita del poeta dell’eugubino Cante de’ Gabrielli, il podestà che lo bandì da Firenze sequestrandone i beni e cambiando il corso della sua vita. Fu un dramma per Dante, ma probabilmente anche da quest’esilio trasse impulso la composizione della Commedia, iniziata nel 1304.

Ma ora io non vorrei ripercorrere i temi che hanno affrontato insigni studiosi, quanto cercare di ricostruire un’immagine meno monumentalizzata di questo personaggio, che possa spiegare perché risulti tanto popolare e in che senso si possa usare per lui questo attributo.

Partiamo innanzi tutto da alcune immagini notissime del poeta: il ritratto di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto e il ritratto di Andrea del Castagno, attualmente nella Galleria degli Uffizi. Sono immagini analoghe anche se con alcune piccole differenze: ambedue rappresentano un intellettuale, colto ed elegante, ma mentre la prima ce lo mostra totalmente, quasi parossisticamente assorbito dai suoi studi, con un volto truce e arcigno, la seconda ci mostra un Dante più affabile, che alza lo sguardo verso un ipotetico interlocutore e con la mano quasi lo invita a conversare con lui. Immagini che comunque fanno perno solo sulla cultura e sullo studio. Ma Dante fu solo questo oppure la sua vita ebbe anche altri risvolti?

 I punti essenziali della sua biografia sono noti: è nato a Firenze nel Medioevo declinante, la sua musa è stata Beatrice, ha avuto due passioni dominanti, la religione e la politica, è stato esiliato dalla patria e, soprattutto, ha scritto la Commedia. Oggi il valore di quest’opera non è posto in discussione da nessuno, anche se va detto che non è un libro da leggere come un romanzo perché presenta molte difficoltà interpretative; tuttavia la sua fortuna letteraria non è stata precoce. Nella cultura cosiddetta alta gli altri due grandi toscani del Trecento, Petrarca e Boccaccio, nell’immediato hanno avuto più apprezzamenti di Dante; vi ricordo, a testimonianza di questo, che quando si afferma il libro a stampa, nel 1500, uno dei testi più preziosi che si poteva possedere era una cinquecentina con il Canzoniere di Petrarca.

Sempre nel 1500, e precisamente nel 1525, il veneziano Pietro Bembo, che fra l’altro è stato vescovo di Gubbio prima di diventare cardinale, nelle Prose della volgar lingua, un testo fondamentale nella storia della lingua italiana, propone come modelli Boccaccio per la prosa e Petrarca per la poesia. Questi suggerimenti sono stati dominanti nella nostra cultura al meno fino al Romanticismo e forse oltre.

E Dante? Perché Dante no? Perché la sua lingua, così varia, capace di alzarsi a livelli altissimi ma di abbassarsi al turpiloquio, piena di neologismi, parole da lui coniate, mescolate ad altre di origine latina, era lontana dal gusto rinascimentale, che potremmo definire medio, equilibrato, pacato ispirato all’AUREA MEDIOCRITAS del poeta latino Orazio. E allora Petrarca si afferma quale maestro di stile ed eleganza in tutte le corti d’Europa.

Quale allora la sorte di Dante e della Commedia? È proprio Petrarca in una famosa lettera inviata a Boccaccio a raccontarci che l’opera di “quel poeta”, lo chiama così evitando di chiamarlo per nome, circola tra osti e tintori. Ma leggiamo qualche passo dell’epistola:


 Petrarca, Familiares, XXI,15

A Giovanni Boccaccio

«…questi suoi elogiatori, tanto sciocchi che ignorano del pari le ragioni per le quali lodano o biasimano e che gli infliggono intanto la più grave ingiuria che si può recare a un poeta, ossia quella di sciupare e guastare i suoi versi con le loro recite…..»

«A meno che non si dica che gli invidi l’applauso e il roco clamore dei tintori, dei bettolai, dei lanaioli e di tutta quella genia la cui lode è in realtà un’offesa, tanto che mi congratulo con lo stesso Virgilio ed Omero di esserne privo…»


 

Quest’espressione manifesta una critica fortemente dispregiativa, ma coglie l’essenza di un’opera che vuole essere per il popolo che la fa sua. Certo, quando parliamo di popolo nel Medioevo non dobbiamo pensare agli strati infimi della società, ma a quella fetta dinamica del mondo comunale in grande fermento, attiva, operosa, desiderosa di conquistare i suoi spazi. Sappiamo quanto sia difficile connotare Dante da un punto di vista sociale, se egli si sentisse più affine ai nobili o ai plebei e sappiamo quanta fosse grande la sua avversione all’affarismo dei mercanti (“la gente nova e i subiti guadagni”), tuttavia nelle sue peregrinazioni per l’Italia e nello Studio bolognese che ha frequentato fin dagli anni ottanta del Duecento ha conosciuto e apprezzato questa parte più dinamica e intellettualmente vivace della società contemporanea. Ad essa si rivolge, perché ne conosce virtù e vizi e costruisce un grande progetto culturale di educazione, la Commedia, definita da Boccaccio, il suo primo vero estimatore, Divina.

Quale obbiettivo voleva raggiungere?

Le opere precedenti al capolavoro ce lo dimostrano: la diffusione di una cultura che fosse agganciata alla realtà e ai veri bisogni dell’uomo. Quindi una ricerca morale che individuasse chiaramente bene e male, le regole della vita civile e dunque la politica, ma soprattutto il fine ultimo della vita e quindi la religione. Tutto ciò non in un trattato in decine di libri, scritto magari in latino e quindi comprensibile solo ai chierici, perché ricordiamoci che nel Medioevo la cultura era ancora proprietà prevalente della chiesa, mentre anche re e marchesi potevano tranquillamente ignorare il latino, ed essere poco alfabetizzati, ma in un’opera in volgare, fantastica, romanzesca, quasi avventurosa, che potesse attirare larghi strati della popolazione. E per di più scritta con uno schema metrico portentoso, la terzina incatenata, con schema ABA BCB CDC , in cui il verso centrale fa per così dire da gancio per la successiva, rendendo più facile la memorizzazione.


Inferno, I, vv.1-9

Nel mezzo del cammin di nostra vita               A

mi ritrovai per una selva oscura                       B

ché la diritta via era smarrita.                    A

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura             B

esta selva selvaggia e aspra e forte                  C

che nel pensier rinova la paura!                       B

Tant’è amara che poco è più morte;               C

 ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,              D

dirò dell’altre cose ch’i’ v’ho scorte.            C


Questo è il primo prodigio della Commedia: il fatto che sia stato relativamente facile mandarla a memoria per intero. Io stessa ho conosciuto persone riuscite in tale impresa e non parlo solo di letterati di professione, ma di artigiani o addirittura di pastori. Forse solo per i poemi omerici è stato possibile qualcosa di analogo.

Questa trasmissibilità ha fatto sì che l’opera si diffondesse, come dicevamo, nel popolo, tra coloro che possedevano ancora una cultura prevalentemente orale, ma erano la parte dinamica ed attiva della società, si intendevano di commerci e quindi di calcoli, viaggiavano e conoscevano luoghi e costumi diversi. Leggendo la Commedia si possono scoprire descrizioni mirabili e puntuali di luoghi: bati pensare ai versi che riguardano il nostro monte Ingino * o Fonte Avellana*, ma anche regioni come la Sicilia o la Liguria.


Paradiso,XI, vv.43-48

Intra Tupino e l’acqua che discende

del colle eletto dal beato Ubaldo,

fertile costa d’alto monte pende,

 

onde Perugia sente freddo e caldo

da Porta Sole; e di rietro le piange

per grave giogo Nocera con Gualdo.”

 

Paradiso, XXI, vv.106-111

Tra ‘ due liti d’Italia surgon sassi,

e non molto distanti a la tua patria,

tanto che ‘ troni assai suonan più bassi,

 

e fanno un gibbo che si chiama Catria,

di sotto al quale è consecrato un ermo,

che suole esser disposto a sola latria».

 

Dante si rivolge ad un nuovo mondo che comincia a muoversi e a vivere nuove esperienze.

C’è una nuova cultura, in cui accanto alle tre artes del trivio (la grammatica, la retorica, la dialettica, legate al settore che noi definiremmo umanistico-letterario) e alla teologia, che pur hanno un ruolo molto importante nella Commedia, ci sono altre discipline che noi consideriamo più scientifiche: la musica, l’astronomia, la geometria e l’aritmetica, le discipline del cosiddetto quadrivio. Solo due esempi per capire l’importanza di quest’ultime, in luoghi centrali del poema, come i canti di Cacciaguida, i centrali del Paradiso, da cui leggiamo due passi importanti:


Cacciaguida

Paradiso, canto XV, vv,13-24

 “Quali per li seren tranquilli e puri

discorre ad ora ad or subito foco,

movendo li occhi che stavan sicuri,

 

e pare stella che tramuti loco,

se non che da la parte ond’e’ s’accende

nulla  sen perde, ed esso dura poco:

 

tale dal corno che ‘n destro si stende

a piè di quella croce corse un astro

de la costellazion che lì resplende;

 

né  si partì la gemma dal suo nastro,

ma per la lista radial trascorse,

che parve foco dietro ad alabastro.”



Paradiso, canto XVII, vv. 13-18

«O cara piota mia che s’ t’insusi,

che, come veggion le terrene menti

non capere in triangol due ottusi,

 

così vedi le cose contingenti

anzi che sieno in sé, mirando il punto

a cui tutti li tempi son presenti;

 

mentre ch’io era a Virgilio congiunto

su per lo monte che l’anime cura

e discendendo nel mondo defunto,

 

dette mi fuor di mia vita futura

parole gravi, avvegna ch’io mi senta

ben tetragono ai colpi di ventura;

 

per che la voglia mia saria contenta

d’intender qual fortuna mi s’appressa;

ché saetta previsa vien più lenta.»

 

E ancora nello stesso canto, a sottolineare la commistione di alto e basso, leggiamo uno stralcio della risposta di Cacciaguida:


Paradiso, canto XVII, vv.124- 132

indi rispose: ”Coscienza fusca

o de la propria o de l’altrui vergogna

pur sentirà la tua parola brusca.

 

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,

tutta tua vision fa manifesta;

e lascia pur grattar dov’è la rogna.

 

Ché se la voce tua sarà molesta

nel primo gusto, vital nodrimento

lascerà poi, quando sarà digesta.

 

Esempio quindi di un’opera aperta capace di sintetizzare ambiti culturali ancor oggi percepiti come distanti e talvolta opposti. Strumento essenziale per la realizzazione di un tal progetto era dotarsi di una lingua adatta che all’epoca non c’era ma questo aspetto ci porterebbe ad approfondimenti che richiederebbero molto tempo. 

I DISEGNI DI FEDERICO ZUCCARI per la DIVINA COMMEDIA

 ‘A riveder le stelle’: online sul sito degli Uffizi tutti i disegni di Federico Zuccari per la Divina Commedia, per la prima volta digitalizzati in alta definizione. Parla Eike Schmidt, direttore della Galleria degli Uffizi  (leggi qui notizie su Eike Schmidt) 

PERCORSO VIRTUALE ALLA SCOPERTA DELLA DIVINA COMMEDIA ISTORIATA DA FEDERICO ZUCCARI  (guarda le 88 tavole cliccando sulla figura) 

La Divina Commedia “rivive” sul web. Sono infatti per la prima volta visibili online, sul sito degli Uffizi, tutti i disegni che illustrano il Poema, realizzati alla fine del Cinquecento dal pittore Federico Zuccari, famoso per aver affrescato la Cupola di Santa Maria del Fiore. 

La mostra virtuale “A riveder le stelle”, con un apparato didattico scritto da Donatella Fratini, raccoglie le illustrazioni della Commedia dello Zuccari, digitalizzate in alta definizione e organizzate in un percorso a tappe che permette di ammirarle per la prima volta nella loro interezza ed in ogni dettaglio.

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