Cineforum Billy Wilder  -  2022/2023

Tra le attività dell' anno accademico  2022/2023 l'Università Terza Età Città di Gubbio propone anche quella di Cineforum, curata dall'Ing Cesare Quondam Marco.

E' stato scelto un ciclo di film di Billy Wilder, regista e sceneggiatore dai toni dissacranti tanto che l'aggettivo cinico venne abitualmente utilizzato dalla critica dell'epoca per definire i suoi film. 

"La sua formazione mitteleuropea gli permise infatti di considerare gli Stati Uniti, i loro valori e il loro sistema di vita, con un atteggiamento disincantato, che si traduceva in maliziosa ironia nelle commedie e in cupo realismo nei melodrammi. 

Fondamentali nei suoi film risultano i motivi del rovesciamento, dell'identità fittizia, del gioco della metamorfosi e del travestimento che gli consentirono di passare con disinvoltura dalla commedia al dramma approfondendo in una direzione o nell'altra questi temi privilegiati. 

Grande direttore di attori, autore di storie dalla perfetta struttura narrativa, attento alla composizione dell'inquadratura, nel corso della sua carriera ottenne numerose nominations all'Oscar, aggiudicandosi il premio come miglior regista nel 1946 per The lost weekend (1945; Giorni perduti) e nel 1961 per The apartment (1960; L'appartamento), entrambi vincitori dell'Oscar come miglior film. Nel 1993 il Festival di Berlino volle rendergli omaggio conferendogli un Orso d'oro alla carriera." (tratto da Leonardo Gandini - Enciclopedia del Cinema (2004)

I film proposti sono :

Viale del Tramonto

A qualcuno piace caldo

La fiamma del peccato

Sabrina

L'appartamento

L'asso nella manica

Irma la dolce

Wilder nacque a Sucha, una cittadina della Galizia (all'epoca facente parte dell'Impero austro-ungarico, oggi in Polonia)[1], nel 1906 in una famiglia ebraica ashkenazita d'origine polacca e madrelingua yiddish, figlio di Max Wilder e di Eugenia Dittler, proprietari e gestori d'un negozio di dolciumi situato nei pressi della stazione ferroviaria cittadina. In famiglia era spesso chiamato affettuosamente (specie dalla madre) Billie, nomignolo col quale cominciò a firmarsi per la sua carriera cinematografica e che americanizzerà poi in Billy una volta stabilitosi negli Stati Uniti. 

Abbandona la facoltà di Legge per diventare giornalista sportivo a Vienna, poi giornalista giudiziario a Berlino. Proprio lì inizia a scrivere sceneggiature alla fine degli anni Venti, a fianco di Robert Siodmak, Ulmer, Zinneman e Schufftan. Fa anche il ballerino per un breve periodo. 

Con l'avvento di Hitler al potere nel 1933, per le sue origini ebree è costretto a trasferirsi prima a Parigi, dove lavora come coregista, poi negli Stati Uniti. A causa del nazismo durante la guerra perde la madre e altri membri della sua famiglia in un lager. 

Nonostante non conoscesse una sola parola d'inglese, s'inserisce quasi subito nell'ambiente cinematografico grazie ad alcuni contatti come quello con Peter Lorre (con il quale divide l'appartamento). Dal 1935 al 1941 scrive copioni per la Paramount, collaborando a film di Lubitsch e Hawks. Di Lubitsch eredita la capacità di utilizzare il "comico" come arma capace di colpire al cuore le convenzioni del sogno americano. 

Ma prima di approdare seriamente al genere comico, il regista si cimenta con altri generi, dal noir con il film "La fiamma del peccato" (1944), al melodrammatico con "Giorni perduti" (1945), premio Oscar per la regia e per la sceneggiatura e Gran Premio della Giuria a Cannes; al cinema sociale con "L'asso nella manica" (1951). 

Esordisce nella regia americana nel 1942, con il film "Frutto proibito". Nel 1950 dirige "Viale del tramonto", un vero capolavoro, in cui il sogno americano per antonomasia, vale a dire Hollywood, si colora di sconcertanti sfumature horror. Il film ottiene due premi Oscar, per la regia e per la sceneggiatura. 

Resta però la commedia il suo "pezzo forte". Nel decennio 1960-70 dirige 5 commedie divertenti, una di queste "L'appartamento" (1960) vince l'Oscar. 

Vincitore di tre Golden Globe, il regista ottiene numerosi premi alla carriera: quello dell'American Film Institute nel 1986, l'Orso d'Oro a Berlino nel '93, il Preston Sturges Award nel '91 e a Venezia il Leone d'Oro alla carriera nel '72. 

Memorabile la famosa battuta finale del film "A qualcuno piace caldo" (1959): "nessuno è perfetto" che racchiude la tipologia di personaggi "qualunque" rappresentati dal regista e che vivono il dramma della perdita della propria identità, e per questo si travestono e ingannano.Dietro alle metafore (quasi tutte sessuali) si può leggere un'ideologia pessimistica sulla natura e la società umana. 

Si ritira dalle scene nel 1981. Muore all'età di 95 anni di polmonite nella sua villa di Hollywood, accanto alla figlia Victoria e alla seconda moglie, Audrey, di 53 anni. 


"LA FIAMMA DEL PECCATO"

Proiezione del film Giovedì 12 Gennaio 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana di Gubbio

genere noir, thriller – durata 103 minuti

 “La fiamma del peccato” ("Double Indemnity") è un film del 1944 diretto da Billy Wilder, sceneggiatura di Billy Wilder e Raymond Chandler, interpretato da Fred MacMurray (Walter Neff), Barbara Stanwyck (Phyllis Dietrichson ) e Edward G. Robinson (Barton Keyes), adattamento dell'omonimo romanzo di James M. Cain del 1943. 

Candidato a sette premi Oscar, è considerato uno dei primi e più rappresentativi film noir per la cupa ambientazione urbana e l'intensa caratterizzazione dei personaggi. Nel 1992 il film è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, in quanto giudicato "di rilevante significato estetico, culturale e storico". Dal 2007 è al 29º posto nella lista dei 100 migliori film statunitensi di sempre.

I topoi del genere noir, dalla dark lady che manipola l'uomo all'ambientazione tutta in interni, passando per le atmosfere afose e fumose delle estati di Los Angeles, ci sono tutti ma vengono distribuiti da Wilder e Chandler con grande rigore e senso della misura, dando così vita a una storia che si dipana con naturalezza rapendo lo spettatore dal primo all'ultimo fotogramma. 

La scrittura di Chandler, grande romanziere e teorico del nuovo giallo degli anni '40, si esalta nella confessione in prima persona del protagonista, che accompagna con la sua voce narrante l'intera pellicola: un unico (o quasi) lungo flashback in cui i soldi e il sesso assurgono a protagonisti assoluti della storia e, per estensione, a vero motore di ogni azione umana. Clicca per continuare a leggere

PRODUZIONE e SCENEGGIATURA. «Non avevo mai sentito quell'espressione, film noir, quando ho fatto La fiamma del peccato... Ho semplicemente fatto i film che avrei voluto vedere. Quando sono stato fortunato, i miei gusti hanno coinciso con quelli del pubblico. Con La fiamma del peccato sono stato fortunato.» (Billy Wilder)

Nel 1936 il romanzo La morte paga doppio fu pubblicato da James M. Cain in forma seriale sulla rivista Liberty. La storia traeva ispirazione dal caso di Ruth Snyder, condannata alla sedia elettrica nel 1927 per aver ucciso il marito, con la complicità del commesso viaggiatore Henry Judd Gray, dopo averlo convinto a stipulare un'assicurazione sulla vita di 48.000 dollari con la clausola della "doppia indennità".

L'agente dello scrittore inviò a tutte le major di Hollywood una copia del romanzo, le offerte furono però subito bloccate in quanto la trama violava le disposizioni del Codice Hays, le linee guida che specificavano cosa fosse o non fosse considerato "moralmente accettabile" nella produzione di film.

Nel settembre del 1943 la Paramount lo propose al regista Billy Wilder che, con lo sceneggiatore Charles Brackett, apportò alcune modifiche, riguardanti la scena in cui Phyllis è coperta solo da un asciugamano (ritenuta troppo provocatoria), l'intera sequenza della disposizione del cadavere sui binari e la scena finale della camera a gas. Sebbene avesse lavorato al primo adattamento, Brackett decise che l'argomento era troppo scabroso e si ritirò dal progetto, costringendo Wilder a trovare un altro collaboratore, che fu Raymond Chandler.

LE TECNICHE DI RIPRESA. Le riprese iniziarono il 27 settembre 1943 e proseguirono fino al successivo 24 novembre. Il film fu girato in California, nei Paramount Studios di Hollywood e in altre location nella contea di Los Angeles, soprattutto nella Downtown di Los Angeles. Le atmosfere dark del film furono realizzate grazie al lavoro di John Seitz, all'epoca primo direttore della fotografia della Paramount. Gli assolati esterni della Southern California furono contrapposti agli interni bui e tetri girati in studio e il contrasto fu accentuato "sporcando" il set, ovvero rovesciando alcuni posacenere e soffiando particelle di alluminio nell'aria in modo che galleggiassero sembrando polvere.

Un'altra tecnica usata da Seitz fu l'illuminazione attraverso l'uso di veneziane, così da dare l'illusione delle sbarre di una prigione che intrappolavano i personaggi. Wilder attinse anche alle sue radici e alla Berlino degli anni venti e con Seitz conferì al film uno sguardo sottilmente rievocativo del cinema espressionista tedesco, con uno spiegamento drammatico di luci e ombre. «Era pronto a tutto», ha dichiarato il regista, «a volte le riprese erano così scure che non si vedeva nulla, si è spinto al limite di ciò che si poteva fare».

Il finale originale del romanzo di James M. Cain richiedeva che i due protagonisti commettessero un doppio suicidio, all'epoca un elemento severamente vietato come modo di "risolvere" una trama dal Codice Hays. Per questo motivo, Billy Wilder girò un finale in cui Barton Keyes osservava Walter Neff andare verso la camera a gas,, ma la scena fu eliminata, tra le proteste di Raymond Chandler e della Paramount, perché la Production Code Administration la ritenne "molto discutibile".  La PCA considerò comunque il film "eccessivamente macabro", predicendo che non sarebbe mai stato approvato dai consigli di censura locali e regionali.

DISTRIBUZIONE. La première di La fiamma del peccato si tenne al cinema Keith's di Baltimora il 3 luglio 1944. Il film fu distribuito nelle sale dal successivo 6 luglio e si rivelò subito un grande successo al botteghino, nonostante la campagna della cantante Kate Smith che invitò il pubblico a tenersi alla larga per questioni di moralità. «Ci furono un po' di problemi causati da questa ragazza grassa, Kate Smith», ha ricordato James M. Cain, «che stava portando avanti una propaganda chiedendo alla gente di stare lontana dal film. La sua pubblicità probabilmente ci ha fruttato un milione di dollari».

TRAMA. Los Angeles, 1938. L'agente assicurativo Walter Neff rientra a tarda notte nel suo ufficio presso la compagnia Pacific All Risk. Indebolito da una ferita alla spalla, inizia a confessare la sua storia al dittafono del collega Barton Keyes.

Inizia così il lungo flashback che caratterizza la gran parte del film, partendo dall'incontro tra Neff e l'affascinante Phyllis Dietrichson, insoddisfatta moglie di un suo cliente che gli propone di eliminare l'anziano e avaro marito dopo avergli fatto stipulare a sua insaputa una cospicua polizza sugli infortuni. Neff appare irreprensibile, ma Phyllis sa come usare l'arma della seduzione e non ci mette molto a convincerlo. I due pianificano quindi l'omicidio in modo di far sembrare la morte una caduta accidentale da un treno, così da rendere valida la clausola della doppia indennità e raddoppiare il capitale liquidato.

Il crimine viene compiuto secondo i piani, ma l’arguto Barton Keyes sospetta un omicidio e crede che Phyllis abbia assassinato il marito con l'aiuto di un complice, che identifica nel fidanzato della figlia di primo letto di Dietrichson Lola, con cui Phyllis ha intrecciato una relazione. Neff capisce di essere stato usato dalla donna e si reca da lei con l'intenzione di ucciderla, ma Phyllis spara per prima ferendolo alla spalla; Neff si avvicina e, nonostante la donna lo abbracci dicendogli di aver capito di amarlo, le spara a bruciapelo.

Si ritorna quindi all'inizio, quando Keyes arriva giusto in tempo per ascoltare la confessione e scoprire la verità sull'amico.

"IRMA LA DOLCE"

Proiezione del film Giovedì 19 Gennaio 2023 ore 15:30       Sala Attività della Biblioteca Sperelliana di Gubbio

genere commedia sentimentale, durata 137 minuti

"Irma la Dolce" ("Irma la Douce)" è un film del 1963 diretto da Billy Wilder, con protagonisti Jack Lemmon e Shirley MacLaine. Sceneggiatura di Billy Wilder, I.A.L. Diamond. È tratto dal musical omonimo francese del 1956 Irma la Douce su musiche di Marguerite Monnot e libretto di Alexandre Breffort.


"Strepitosa commedia del grande Billy Wilder, che in una Parigi ricostruita con gusto teatrale, sforna un vaudeville dai tempi comici perfetti, un gioiello di precisione e una girandola di gag straordinarie. E i più candidi possono perfino commuoversi nelle parentesi sentimentali del duo Jack Lemmon - Shirley MacLaine, la migliore coppia rosa del dopoguerra". (Massimo Bertarelli, 'Il giornale', 17 giugno 2001)


OSCAR NEL 1963 PER LA MIGLIOR COLONNA SONORA. DAVID DI DONATELLO 1964 PER MIGLIORE ATTRICE STRANIERA A SHIRLEY MACLAINE.


Nestor, ingenuo ex poliziotto, e Irma, prostituta pragmatica e romantica, si innamorano. Per impedire che lei frequenti altri clienti, lui si traveste periodicamente da facoltoso lord inglese e la riempie di denaro (che si procura lavorando di nascosto). Nestor diventa però geloso dell’affetto che Irma comincia a nutrire per il misterioso aristocratico; come fare per liberarsi dell’importuno? I titoli di testa sono inframmezzati da brevi conversazioni, fra Irma e i suoi clienti, che prima ancora dell'intervento del narratore esterno (necessario a inquadrare la vicenda) danno il la al film: ogni volta lei si inventa un passato diverso, avventuroso e patetico, persuadendoli così a incrementare il proprio compenso. Clicca per continuare a leggere


Il travestimento si conferma essere il tema di Wilder, qui declinato nei toni di una commedia deliziosa e amara, che recupera in pieno la lezione di Lubitsch sul fuori campo. Il film fu interamente girato a Hollywood, nello Studio 4 della Samuel Goldwyn

La meticolosa ricostruzione dei mercati delle Halles e delle viuzze adiacenti fu opera della scenografia del "leggendario" Alexandre Trauner. Per questo lavoro, egli si avvalse di un ingente materiale fotografico, che resta una delle principali documentazioni dell'aspetto di quei quartieri, prima della loro demolizione, a causa della ristrutturazione urbana. 

Lo scambio dei ruoli e il gioco delle apparenze coinvolgono il ruolo sociale (il poliziotto onesto viene creduto corrotto), quello psicologico (è Irma che vuole lavorare per mantenere il suo uomo), e in accenno anche quello di genere (durante la notte, la maschera per il sonno passa dal volto di Irma a quello di Nestor, il quale è l'opposto del modello maschile arrogante e volgare col quale si confronta, riuscendo a prevalere nello scontro fisico non con la forza ma con l'agile astuzia degna d'uno Charlot).

Irma la dolce è probabilmente la più gioiosa, libera e spumeggiante opera del regista, dove i classici temi wilderiani come lo scambio di identità e il travestimento vengono incardinati nella storia con una perfezione geometrica, figlia di chi ormai scrive i propri film a occhi chiusi. 

Nonostante risulti mancante la cattiveria di altre opere a firma Wilder-Diamond, il film danza, per più di due ore, con un brio e un'eleganza unici, potendo benissimo assurgere a simbolo assoluto della commedia wilderiana per il grande pubblico e, forse, della “commedia brillante americana” in assoluto. Manifestando anche una sardonica amarezza di fondo.  

Per il ruolo di Irma inizialmente era stata scelta Marilyn Monroe che però morì nel 1962 prima dell'inizio delle riprese. Jack Lemmon sposò l'attrice Felicia Farr a Parigi durante le riprese del film. Testimone delle nozze fu lo stesso Billy Wilder, regista del film.

TRAMA 

Irma è una graziosa e minuta prostituta di Parigi che trova l'amore vero incontrando Nestore Patou, un ex poliziotto squattrinato; Irma decide quindi di lasciare Ippolito, il suo protettore (e fidanzato manesco) per mettersi con Nestore ma non vuole assolutamente abbandonare la "professione": infatti è per lei motivo di orgoglio il poter mantenere Nestore con tutti gli agi possibili.

Nestore non è contento di questa decisione, anzi impazzisce di gelosia nei confronti dei clienti di Irma. 

Decide allora di usare uno stratagemma: per "limitare" l'attività professionale di Irma, Nestore si traveste da ricco e facoltoso Lord (Lord X) e presto diventa il suo unico cliente che, per un inconveniente lasciatogli dal crollo del ponte sul fiume Kwai, si accontenterà di giocare con le carte dei solitari insieme alla graziosa donnina. 

Per corrispondere quanto dovuto a Irma dal generoso Lord X, però, Nestore dovrà massacrarsi di lavoro notturno ai mercati generali delle Halles. Quando egli si accorge che la sua donna inizia ad innamorarsi del suo alter ego, che è riuscita a risvegliare dai sopiti sensi, decide di inscenare un finto suicidio per liberarsi della sua doppia personalità.

L'equivoco genera un'indagine della polizia francese, che accusa Nestore di aver gettato il Lord nella Senna, conducendolo ad un processo in cui viene condannato a quindici anni di carcere per omicidio nonostante sia stato difeso dall'amico Moustache gestore del bistrot ritrovo delle donnine allegre che ha avuto una vita molto avventurosa con diverse professioni e mestieri.

Moustache riuscirà a fare evadere dalla prigione Nestore che infine, presentandosi nelle vesti di Lord X, dimostrerà così la sua innocenza.

Non manca il lieto fine con il matrimonio finale di Irma la dolce, rimasta incinta di Lord X, cioè di Nestore che "generosamente" riconoscerà il futuro pargolo come suo.

"L'ASSO NELLA MANICA"

Proiezione del film Giovedì 26 Gennaio 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana di Gubbio

genere drammatico, durata 112 minuti

Diretto nel 1951 da Billy Wilder, "L'asso nella manica"("Ace in the Hole"), interpretato da Kirk Douglas e Jan Sterling,  è un melodramma del 1951 sulla macchinazione di un giornalista disposto a tutto pur di raggiungere lo scoop, con questo film il regista precorre il tema della spettacolarizzazione della cronaca e delinea un amaro spaccato della società contemporanea, di cui dimostra di conoscere bene i meccanismi.

Siamo davanti ad un capolavoro che, dopo settant' anni, è ancora attuale. E' uno dei film più amari e spietati sul cinismo dei mass media, emozionante e profetico.

Wilder crea un personaggio cinico e miserabile (un magistrale Kirk Douglas) che rispecchia la crudeltà delle persone che, per denaro e successo, non hanno nessun riguardo neanche per la vita altrui. Lo scoop che il giornalista protagonista cerca di conseguire con tutti i mezzi, anche illeciti, riguarda la vicenda di un uomo caduto in una vecchia caverna e ivi rimasto imprigionato.

Uno di quei film di Wilder poco considerati da Hollywood a causa soprattutto del tema trattato ovvero la critica feroce al mondo del giornalismo e in senso lato anche alla società americana. (clicca per continuare a leggere)

Il set del film era uno dei più grandi fino ad allora costruiti, misurava 370 metri di altezza e 490 metri di profondità includendo una collina rocciosa dove era crollata la grotta. Inoltre vi erano numerose bancarelle lungo la strada, parcheggi, e un luna park. Le scene hanno occupato più di 1.000 comparse e oltre 400 automobili.

Impressionante l’analogia con la “tragedia di Vermicino”, la morte del bambino Alfredino Rampi, caduto in un pozzo nel 1980 con la diretta tv non stop e la creazione sul posto di un circo mediatico improntato alla più sfrenata curiosità morbosa.


TRAMA

Charles Chuck Tatum è un giornalista privo di scrupoli che, a causa dei suoi vizi (è un forte bevitore e un donnaiolo), viene licenziato dai più prestigiosi quotidiani di New York, Chicago e Detroit.

Per necessità si trasferisce quindi ad Albuquerque (Nuovo Messico), una piccola cittadina ancora mezza indiana e mezza messicana, nell'attesa di potere scrivere un articolo così importante da riportarlo negli ambienti che contano del giornalismo.

Mandato a coprire un evento fuori città, si imbatte in una frana che ha intrappolato un uomo, Leo Minosa, sceso a saccheggiare le tombe indiane di una vecchia caverna. Sfoderando tutto il suo fiuto per la notizia, ma anche il suo cinismo, contro il parere del capocantiere Smollet che vorrebbe procedere più velocemente puntellando la caverna, concorda con lo sceriffo del luogo di ritardare il più possibile gli aiuti, facendo perforare la roccia dall'altura con una perforatrice, allo scopo di creare clamore attorno all'evento, in modo da assicurarsene l'esclusiva. In tutto ciò si assicura anche la complicità della moglie di Leo, Lorraine, che gestisce in loco una piccola fatiscente locanda. Stanca della misera vita che conduce, Lorraine compatisce e disprezza il marito e intende lasciarlo.

Man mano che la squadra di soccorso monta la perforatrice sull'altura sopra la caverna e procede a perforare per raggiungere la caverna in cui è prigioniero Minosa, il sito del crollo si trasforma in un grottesco Luna Park con migliaia di curiosi affollati in roulotte e campeggi, giostre, baracconi, concerti country e quant'altro. La locanda di Lorraine, l'unica in zona, viene invasa dai turisti e fioccano inaspettati incassi.

Tatum e lo Sceriffo Kretzer sfruttano la situazione fino all'ultimo e persino Herbie Cook, il giovane e ingenuo fotografo che accompagnava il reporter, inizia a sognare di fare il salto verso la metropoli e i grandi quotidiani insieme a lui.

Purtroppo i giorni di immobilità al freddo e all'umido minano la pur solida salute di Leo, che contrae la polmonite; in extremis Tatum, sapendo che la sua gallina dalle uova d'oro ha meno di un giorno di vita, tenta di tornare al piano originario, ma il capocantiere Smollett lo avverte che le vibrazioni del maglio pneumatico hanno tanto indebolito la volta da rendere impraticabile quel sistema.

Leo muore, i sogni di Tatum si infrangono, Kretzer e Smollett vanno incontro a inchieste e indagini sulla loro erronea gestione dell'incidente e in ultimo Lorraine, insultata e maltrattata dal giornalista, lo pugnala al fianco con un paio di forbici, lasciando poi la zona col denaro guadagnato nel corso della settimana.


La trama del film è stata ispirata da due eventi della vita reale e in entrambi i casi, le vittime morirono prima di essere salvate:

·        Il primo coinvolse Floyd Collins, che nel 1925 rimase intrappolato all'interno di una cava di sabbia nel Kentucky a seguito di una frana. Un giornale di Louisville, il Courier-Journal, inviò sulla scena il suo giornalista William Burke Miller, il quale trasformò con il suo articolo il tragico episodio in un evento nazionale, cosa che gli fece guadagnare un Premio Pulitzer. Il nome di Collins è citato nel film come un esempio di una vittima di una frana che diventa un evento mediatico.

·         Il secondo evento ha avuto luogo nell'aprile 1949. Kathy Fiscus di San Marino in California cadde in un pozzo abbandonato e nel corso dell'operazione di soccorso, che durò diversi giorni, migliaia di persone arrivarono da ogni parte per guardare lo svolgersi dell'azione.


    RICONOSCIMENTI

·         Festival di Venezia 1951: Premio internazionale a Billy Wilder e Premio speciale per il miglior commento musicale a Hugo Friedhofer

·         National Board of Review Awards 1951: miglior attrice (Jan Sterling)

·         Nel 2017 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti

"L' APPARTAMENTO"

Giovedì 2 Febbraio 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

genere commedia, durata 125 minuti

(The Apartment) film del 1960 diretto da Billy Wilder, interpretato da Jack Lemmon, Shirley MacLaine e Fred Mac Murray


Vincitore di cinque Oscar nel 1961, miglior film, regia, sceneggiatura originale, montaggio e scenografia, ”L’appartamento” non è solo il capolavoro più ironico e pungente del leggendario regista e scrittore Billy Wilder, ma anche una delle più deliziose commedie prodotte a Hollywood.

E’ la pellicola forse più amara e feroce di Wilder sui rapporti umani dell’America degli anni Sessanta dove, le falsità e l’individualismo del mondo del lavoro invadono, in un processo inarrestabile, anche le dinamiche affettive personali e la vita privata degli individui.

Tutto ciò, e questo è l’aspetto davvero clamoroso, viene veicolato attraverso il registro della commedia leggera hollywoodiana, ma non sul genere di Irma la dolce, che era quasi un vaudeville scoppiettante ed esilarante dall’inizio alla fine. Questa sì è una commedia divertente, che però alterna momenti esilaranti ad altri commoventi se non al limite del drammatico con un Jack Lemmon straordinario.

Questo è un esempio di quella commistione di generi in cui Wilder era maestro. Ad esempio, nelle scene iniziali dell’ Asso nella manica, quando Kirk Douglas si presenta al Direttore del giornale di provincia, è tutto un susseguirsi di battute anche umoristiche degne di una commedia brillante, mentre poi rapidamente il film scivola nel dramma. (clicca per continuare a leggere)

Non manca nel film un sottofondo di riflessione critica, come ormai ci ha abituato Wilder, su alcuni aspetti della società americana. Il film è incentrato sugli impiegati di una grande società di assicurazioni di cui fa parte il protagonista. Questi si ritrovano, più per inerzia che per vero arrivismo, a sfruttarsi a vicenda nei modi più biechi e desolanti: il protagonista Bud, dalle non spiccate qualità, riesce ad ottenere promozioni utilizzando il prestito a ore del suo appartamento da scapolo ai suoi superiori per le loro scappatelle extra coniugali, quindi sfrutta i superiori per fare carriera, i superiori sfruttano lui, le donne dell’azienda sfruttano gli uomini minacciandoli con lo spauracchio di rendere pubbliche le loro scappatelle.  Il risultato che ne consegue è un grande equilibrio di ipocrisie ed egoismi che ancora oggi colpisce e ferisce.


La critica di Wilder riguarda due aspetti, il primo i rapporti tra i dipendenti della società che sono improntati ad un individualismo e a un utilitarismo esasperati: ognuno cerca di trarre profitto sfruttando l’altro. Il secondo aspetto riguarda lambiente di lavoro della società, indicativa è la prima scena del film in cui Wilder inquadra un enorme stanzone con decine e decine di impiegati chini sulla propria scrivania, tutti in fila e uno accanto all’altro come in batteria (inizialmente da questa sceneggiatura se ne doveva trarre anche uno spettacolo teatrale, ma Wilder non volle perché in teatro non si poteva riprodurre una grande scena del genere). Con questa scena Wilder  vuole mostrarci un ambiente di lavoro quanto mai spersonalizzante ed alienante, dove ogni impiegato è ridotto ad un numero o se volete a un robot e qui appunto è evidente la critica a certi sistemi di lavoro delle grandi aziende americane.

Ci troviamo quindi in presenza di un clima di rapporti umani improntati alla falsità e all’ipocrisia quindi deteriorati e ridotti a puro utilitarismo e sfruttamento dell’uno sull’altro, con poco riguardo per l’etica e la morale. Le cose si complicheranno poi per il protagonista quando subentrerà l’elemento sentimentale che lo trascinerà in una situazione imbarazzante e quasi drammatica e che lo costringerà a fare una scelta non facile con al centro della vicenda sempre l’appartamento.


Altra strepitosa interpretazione di Jack Lemmon che aveva già recitato con Wilder in A qualcuno piace caldo e che, quando il regista gli propose la parte in questo nuovo film, accettò senza riserva non leggendo neanche la sceneggiatura, dichiarando in seguito che avrebbe recitato per Wilder anche se gli avesse chiesto di leggere l’elenco telefonico a dimostrazione della stima che l’attore aveva per il regista.


Dei tre film che abbiamo visto nelle settimane passate, due sono in bianco e nero (La fiamma del peccato e L' asso nella manica) e uno a colori (Irma la Dolce). Wilder prediligeva il bianco e nero sia perché lo riteneva più idoneo per i film noir o drammatici, sia perché più aderente alla realtà. Tanto è vero che il film Irma la Dolce è a colori perché una commedia brillante quasi favolistica ambientata a Parigi.


TRAMA

Bud (Jack Lemmon) negli affari conosce la strada del successo….che passa attraverso la porta del suo appartamento!!!

Fornendo una perfetta “autostrada” ai suoi capi donnaioli, il giovane impiegato ambizioso ottiene una serie di promozioni totalmente immeritate. Quando anche il suo grande capo J.D. Sheldrake (l’attore Mac Murray) approfitta della sua disponibilità, non solo la sua carriera, ma anche la sua vita affettiva farà un passo avanti.

L’amante di Sheldrake è, infatti, l’incantevole Fran Kubelik( S. Mac Laine), la ragazza dell’ascensore che popola i sogni di Bud. Convinto di essere l’uomo giusto per Fran, Bud deve prendere la decisione più importante della sua vita: perdere la ragazza….o il lavoro. 


Oltre a riscuotere un enorme successo di pubblico e critica, ricevette dieci candidature agli Oscar vincendone ben cinque: miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura originale, miglior montaggio e migliore scenografia.  I due protagonisti si aggiudicarono entrambi il Golden Globe e il Premio BAFTA per la loro brillante interpretazione.

Nel 1994 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, in quanto giudicato "di rilevante significato estetico, culturale e storico", e nel 2003 è entrato nella Film Hall of Fame della Online Film & Television Association. Nel 1998 è risultato 93º nella lista dei 100 migliori film statunitensi di sempre dell'American Film Institute e nell'edizione aggiornata del 2007 è salito all'80º posto. L'AFI lo ha inoltre posizionato al 20º posto tra le cento migliori commedie e al 62º tra i cento migliori film sentimentali del cinema americano.

 

Il contabile C.C. Baxter, soprannominato "Bud" ("Ciccibello" nella versione italiana), lavora presso una grande compagnia di assicurazioni di New York e per aumentare le sue possibilità di carriera affitta il piccolo appartamento in cui vive ai suoi dirigenti per incontri extraconiugali, durante i quali se ne va in giro per la città.

Tutto procede secondo questa routine fino a che non si innamora di Fran Kubelik, ascensorista del grattacielo in cui ha sede la compagnia e amante del capo del personale, Jeff Sheldrake.

Proprio Sheldrake, dietro consiglio di un collega, si rivolge a Baxter per ottenere l'uso dell'appartamento e la sua iniziale riluttanza viene vinta grazie ad una promozione ai "piani alti" della compagnia.

Durante un incontro fra i due amanti la vigilia di Natale, Sheldrake comunica a Fran che non ha intenzione di chiedere il divorzio per sposarla, come invece le aveva promesso.

Amareggiata e umiliata, dopo che Jeff è uscito la ragazza tenta il suicidio, ma Baxter giunge appena in tempo per evitare il peggio. Quando informa Sheldrake dell'accaduto, la telefonata viene intercettata dalla segretaria ed ex-amante di quest'ultimo, che per vendetta e gelosia riferisce tutto alla moglie.

Cacciato di casa, Sheldrake riprende la relazione con Fran e torna a chiedere a Baxter la chiave dell'appartamento per trascorrervi con lei la notte di capodanno. Il giovane questa volta si rifiuta e si licenzia dalla compagnia, consegnandogli la chiave del bagno dei dirigenti anziché quella del proprio appartamento. Appresa la notizia durante il cenone, Fran si rende conto dei propri sentimenti e pianta in asso l'amante per correre da Baxter, che finalmente le confessa il suo amore.


PRODUZIONE

Oltre che dal film del 1928 La folla diretto da King Vidor, Billy Wilder dichiarò di aver tratto ispirazione da Breve incontro di David Lean (sceneggiatore britannico) del 1945: «Ho sempre pensato che ci fosse un personaggio interessante, quello che prestava l'appartamento, un personaggio patetico e divertente, e ho portato questa idea con me». 

Un'altra fonte d'ispirazione fu lo scandalo che nel 1951 aveva coinvolto il produttore Walter Wanger, che il 13 dicembre aveva sparato all'agente Jennings Lang ritenendolo l'amante della moglie, l'attrice Joan Bennett.

La sceneggiatura, per la quale Wilder si avvalse di nuovo della collaborazione di I. A. L. Diamond, era solo a metà quando iniziarono le riprese alla fine del novembre 1959, una pratica consueta per il regista che in questo modo aveva la possibilità di sviluppare i personaggi in corso d'opera. 

Gli esterni notturni furono girati a Manhattan, tra Central Park, il Majestic Theatre e Columbus Avenue, mentre il resto del film fu realizzato ai Samuel Goldwyn Studios di West Hollywood dove i tecnici costruirono l'enorme interno dell'ufficio assicurativo, progettato appositamente per rappresentare la natura demoralizzante e impersonale dell'ambiente aziendale.

Il progetto iniziale di Wilder sarebbe stato quello di una commedia teatrale, ma fu costretto a riconsiderare la storia come soggetto cinematografico proprio dopo aver realizzato che l'imponente ufficio non poteva essere riprodotto nella sua interezza su un palcoscenico. 

Il set fu costruito su un'area di oltre 25.000 metri quadrati e Wilder ha descritto in seguito le tecniche utilizzate per ottenere le inquadrature che desiderava, compresa la prospettiva forzata con scrivanie di dimensioni sempre più piccole e l'impiego di attori progressivamente più bassi di statura seduti al lavoro.

Ha anche affermato di aver assunto dei nani per le ultime file, anche se lo scenografo Alexandre Trauner ha dichiarato che gli attori nelle file più distanti erano in realtà dei bambini.

I quadri presenti nell'ufficio di Sheldrake, tra i quali quelli di artisti come Massimo Campigli e Paul Klee, provenivano dalla collezione personale di Wilder e anche il letto nell'appartamento di Baxter era di proprietà del regista, che lo aveva già usato cinque anni prima nel film Sabrina.

Wilder e Diamond, produttore associato oltre che co-sceneggiatore del film, scrissero L'appartamento espressamente per Jack Lemmon subito dopo aver finito le riprese di A qualcuno piace caldo.

Lemmon accettò, come ha dichiarato in seguito, dopo che Wilder gli raccontò la storia ma senza aver letto neanche una pagina della sceneggiatura: «Avrei firmato anche se mi avesse detto che avrei dovuto recitare l'elenco telefonico».

"VIALE DEL TRAMONTO"

Giovedì 9 Febbraio 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

genere noir - drammatico     -          durata 106 minuti

“VIALE DEL TRAMONTO” (Sunset Boulevard) -  film del 1950 diretto da Billy Wilder con William Holden, Gloria Swanson ed Erich von Stroheim 

Apprezzato dalla critica fin dalle prime proiezioni, il film ricevette 11 nomination agli Oscar nel 1951, vincendo tre statuette (sceneggiatura originale, scenografia, colonna sonora).

 Uscito il 4 agosto 1950 negli Stati Uniti è ancora oggi uno dei film più noti e apprezzati del cinema americano. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Wilder in collaborazione con Charles Brackett e D.M. Marshmann Jr., non nasconde una forte critica ai cinici meccanismi e alle stravaganze di Hollywood, in particolare dello star system. Nel 1989 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.  Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al dodicesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è sceso al sedicesimo posto.

“Viale del tramonto” è considerato uno dei migliori film di Hollywood sul divismo e sul cinema del passato. Norma Desmond incarna un mondo che sia il pubblico sia lo studios system sembrano aver dimenticato: quello degli ex-divi del cinema muto, un tempo acclamati come semidei e ora ridotti a relitti abbandonati. Non a caso la vita attuale di Norma Desmond ha qualcosa di funereo, di fatiscente, ma ha anche un fascino sublime, che strega tanto il protagonista quanto lo spettatore. (clicca per continuare a leggere)

Come molti suoi colleghi, la diva si trova messa in crisi dall’ingresso del sonoro nel cinematografo dove la recitazione si basava sulla mimica del viso e sulla gestualità. Con il sonoro invece è necessario introdurre nella recitazione anche la voce con le giuste intonazioni, con la perfetta dizione, qualità che molto spesso i divi del muto non possedevano o non erano abituati ad usare. Da divi osannati, decadono a personaggi messi brutalmente da parte dall’industria cinematografica e dimenticati dal pubblico. 

Tutto questo la protagonista del film non lo accetta e cerca in ogni modo di poter rientrare nel giro di Hollywood. Durante la scena della proiezione privata, Joe scopre tutta la potenza del cinema muto e la sua carica espressiva. «Non avevamo bisogno di parole, avevamo dei volti!» dice Norma a Joe. 

Il film mostra quindi con ambiguità sia la grandezza del divismo, sia i suoi orrori. Da sottolineare la particolare interpretazione della protagonista Gloria Swanson, che fu effettivamente una diva del cinema muto e dimostra in tutto il film le caratteristiche dei divi del muto con l’esasperata mimica del volto e la gestualità portata all’eccesso, come se il regista voglia in ogni momento ricordarci l’origine e la peculiarità del personaggio.


CAST - A causa di numerose defezioni, la scelta degli attori non fu facile per Wilder. Per il  ruolo di Joe Gillis vennero contattati Montgomery Clift, Fred MacMurray, Marlon Brando, Gene Kelly. Infine William Holden fu la classica scelta di ripiego, peraltro tenacemente contrastata da Wilder che scritturò successivamente Holden per altri suoi film, e fra loro proseguì una fruttuosa collaborazione professionale.


Altrettanto difficile fu la scelta dell'attrice protagonista. Dopo aver contattato  Mae West, Mary Pickford, Pola Negri e Greta Garbo, fu scelta Gloria Swanson, diva del muto che negli ultimi quindici anni aveva girato un solo film e la cui situazione, dunque, aveva molti parallelismi con quella del personaggio che avrebbe interpretato, così come Erich von Stroheim, nei panni del maggiordomo ed ex-regista Max.


Altri tre divi del cinema muto, Buster Keaton, Anna Q. Nilsson e H.B. Warner, furono scelti per interpretare camei nei ruoli dei pochi amici di Norma Desmond (visibili nella scena della partita a bridge). Il regista Cecil B. DeMille interpreta il ruolo di se stesso, filmato sul vero set del film cui il regista stava lavorando all'epoca: “Sansone e Dalila”.

 


SCENEGGIATURA E RIPRESE - Fonte d'ispirazione per il film fu la vicenda di Mabel Normand, un'attrice morta nel 1930, travolta da uno scandalo nel 1922 poiché sospettata dell'omicidio del suo collega e amante William Desmond Taylor. Dai nomi dei due personaggi ebbe origine il nome di Norma Desmond.


Il critico Richard Corliss paragonò il personaggio di Norma Desmond a quello di Dracula perché seduttrice e assassina, mentre la figura di Max è associata a Il fantasma dell'Opera di Gaston Leroux. 


Wilder rifiutò l'etichetta di commedia nera per Sunset Boulevard.  Elemento di notevole importanza nel film sono le luci, per le quali Wilder contattò John Seitz, che era già stato suo collaboratore per “La fiamma del peccato”. Particolare attenzione fu data, sotto questo punto di vista, alle scene del funerale della scimmia della Desmond e della proiezione privata del film.


Particolarmente difficile fu la preparazione della scena in cui, dal fondo della piscina, si vede il cadavere di Gillis galleggiare sull'acqua: un primo esperimento fu fatto con una cinepresa che venne immersa nell'acqua con la protezione di una speciale scatola, ma Wilder non ne fu soddisfatto; la soluzione definitiva fu dunque quella di piazzare sul fondo della piscina uno specchio, e filmare il riflesso del corpo galleggiante di Gillis-William Holden. Questo secondo tentativo ebbe successo, anche per l'effetto distorto che le immagini dei poliziotti sul bordo della grande vasca assumevano nello specchio. Per dare all'abitazione di Norma Desmond l'aspetto di un luogo in decadenza, Wilder chiese inoltre ad alcuni cineoperatori di soffiare della pietra pomice sbriciolata sull'obiettivo della cinepresa, prima del ciak.


 

L'OGGETTISTICA ORIGINALE - le fotografie che ricoprono le pareti della casa di Norma Desmond provenivano dalla collezione di Gloria Swanson; un particolare curioso riguarda il film proiettato nella sala privata della villa della Desmond, che nella finzione vedeva protagonista la stessa diva: si tratta de “La regina Kelly” (1927), con la stessa Swanson protagonista e diretto peraltro da Erich von Stroheim, rimasto poi incompiuto proprio a causa del licenziamento del regista da parte dell'attrice, che era anche produttrice, e poi per l'avvento del sonoro. Il film era inedito all'epoca e le immagini apparse in “Viale del tramonto” furono per decenni le uniche mai mostrate al pubblico. La grande coupé de ville di proprietà della Desmond è un'Isotta Fraschini Tipo 8A carrozzata da Castagna del 1929, oggi conservata al Museo dell'automobile di Torino.

 


LA CRITICA - Il film provocò grande malcontento nello show-business: Louis B. Mayer sottolineò il disappunto che provava nel vedere Wilder criticare l'industria che gli dava da vivere. Mae Murray, diva del muto, contemporanea della Swanson, si dichiarò offesa dal personaggio di Norma Desmond.


Di parere opposto furono i critici: tra gli altri, Time lodò il film, definendolo «...il lato peggiore di Hollywood raccontato nel modo migliore». Il film fu proiettato al Radio City Music Hall (teatro del Rockefeller Center a New York) per sette settimane, nel corso delle quali guadagnò oltre un milione di dollari e divenne un grande successo anche grazie alla tournée di Gloria Swanson, che visitò 33 città statunitensi per promuovere la pellicola.

 


RICONOSCIMENTI - Premio Oscar 1951 (sceneggiatura originale, scenografia e colonna sonora composta da Franz Waxman e pubblicata su CD solo nel 2002), Golden Globe,  National Board of Review Award, Nastro d'argento e altri

 


OPERE DERIVATE - Una versione musicale del film, intitolata “Sunset Boulevard” è stata realizzata da sir Andrew Lloyd Webber con liriche e libretto di Don Black e Christopher Hampton ed esordì al Sydmonthon Festival nel 1992 prima di aprire a Londra, l'anno successivo. La produzione piacque molto a Billy Wilder che definì Patti LuPone, la cantante che ricopriva il ruolo di Norma Desmond, una "vera diva". Negli Stati Uniti invece il successo del musical si deve in particolare all'attrice Glenn Close, paradigmatica interprete di questo ruolo col quale vinse il Tony Award come migliore attrice in un musical.



TRAMA 

La vicenda viene narrata dal protagonista già morto che racconta la sua verità allo spettatore in un lungo flashback. Joe Gillis (William Holden ) è un giovane soggettista di Hollywood, il cui cadavere galleggia nella piscina di una villa sul Sunset Boulevard, a Los Angeles. Il racconto in prima persona da parte di un morto fu un paradosso narrativo che aveva però una giustificazione poetica, poiché il film si poneva come grande omaggio al cinema del passato.

Il racconto di Gillis inizia spiegando come, sei mesi prima, fuggendo dagli emissari di una società finanziaria che volevano sequestrargli l'automobile come pagamento per i suoi debiti, egli trova casualmente rifugio in Sunset Boulevard, nella villa di Norma Desmond (Gloria Swanson), una cinquantenne ex-diva del cinema muto, ritiratasi a vivere in solitudine. La villa è immensa, ma ha un che di fatiscente come se fosse abbandonata. Accolto dal maggiordomo Max (Erich von Stroheim), Gillis viene scambiato dalla Desmond per uno dei necrofori incaricati del funerale della propria scimmietta.

Incuriosito dalla grottesca circostanza e dalla decadenza dell'ambiente, Gillis fa la conoscenza dell'attrice, che vive ormai di ricordi, attorniata da centinaia di sue fotografie e nel totale disprezzo per il cinema moderno, che considera rovinato e corrotto dall'avvento del sonoro e del Technicolor. Poiché sogna un ritorno alla celebrità, Desmond impone a Gillis di visionare il copione di un film di cui lei ha curato la stesura, incentrato sul personaggio di Salomè, e per questo lo ospita, trattenendolo nella sua isolata e sfarzosa dimora. Le intenzioni dell'attrice vanno però al di là di un semplice rapporto di lavoro: ella, infatti, s'innamora di Joe, lo lusinga con costosi regali, ma viene da lui rifiutata.

Durante il party di capodanno, in un impeto d'ira la Desmond colpisce Gillis, che fugge dalla villa. Rifugiatosi in casa dell'amico Artie Green (Jack Webb), v'incontra la giovane fidanzata di questi, Betty Schaefer (Nancy Olson), una ragazza conosciuta tempo prima negli uffici della Paramount. Durante la serata, Gillis telefona a Max maggiordomo della Desmond, per farsi spedire indietro i propri effetti personali, ma scopre che l'attrice ha tentato il suicidio. Sconvolto, il giovane si precipita al suo capezzale, promettendole di non lasciarla ancora.Da questo punto in avanti Gillis conduce una doppia vita: passa le giornate nella villa in compagnia della Desmond mentre, di sera, esce di soppiatto per recarsi presso gli studios della Paramount e scrivere insieme a Betty il soggetto per un film. Quando Betty gli confessa, però, il suo amore per lui, Joe rimane turbato e se ne va senza darle una risposta.

Norma, scoperto il motivo delle misteriose uscite notturne di Gillis, ormai al culmine della pazzia e rosa dalla gelosia, telefona a Betty raccontandole della doppia vita di Joe. Questi la scopre durante la conversazione e invita la ragazza a recarsi alla villa di Sunset Boulevard per chiarire la faccenda. Quando la ragazza arriva, Gillis le spiega della sfarzosa vita che conduce con la matura Norma; scioccata e affranta, la ragazza fugge in lacrime. Gillis si reca dunque in camera, intenzionato a fare i bagagli e ad andarsene; Norma lo insegue fino in giardino e gli spara tre colpi di pistola, uccidendolo. Il corpo senza vita di Joe cade nella piscina.

Si torna così all'inizio della vicenda, sul bordo della piscina. All'arrivo della polizia, Norma Desmond appare completamente estraniata dalla realtà e non comprende cosa stia succedendo veramente. Il fido maggiordomo Max, che si scopre essere il suo pigmalione e primo marito, le dice che sono arrivati gli operatori del cinegiornale per la produzione del film del suo rientro nel cinema. La diva, credendo che ci sia il suo regista Cecil B. DeMille (se stesso) pronto a filmarla, scende allora maestosamente le scale e, circondata dai reporter, si sente l'attrice acclamata di un tempo. Dopo aver ringraziato tutti i presenti, guardando la cinepresa pronuncia la famosa battuta finale: “Eccomi DeMille, sono pronta per il mio primo piano.”«Eccomi De Mille, sono pronta per il mio primo piano.»

"A QUALCUNO PIACE CALDO"

Giovedì 16 Febbraio 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

A QUALCUNO PIACE CALDO  - Some Like It Hot (1959)

Genere commedia, sentimentale, musicale - Durata 120 min

Regia Billy Wilder - Sceneggiatura  I. A. L. Diamond, Billy Wilder -  con Marilyn Monroe (Zucchero/"Candito"/ Kandinsky), Tony Curtis (Joe / Josephine / Junior), Jack Lemmon (Jerry / Daphne)

Riconoscimenti - Il film vinse un Oscar per i Migliori costumi a Orry-Kelly e tre Golden Globe, uno dei quali a Marilyn Monroe e uno a Jack Lemmon. Nel 1989 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d'America. Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al quattordicesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è sceso al ventiduesimo posto. Nel 2000 l'ha inserito al primo posto della classifica delle migliori cento commedie statunitensi. Nel 2005 la battuta «Well, nobody's perfect» (Beh, nessuno è perfetto) è stata inserita al quarantottesimo posto della classifica delle migliori cento battute del cinema statunitense.

 

Critica - Wilder mette in scena quello che viene considerato un capolavoro assoluto della commedia americana. Si tratta di una commedia degli equivoci e dei travestimenti deliziosa e profondamente ironica sulla società del tempo (la Chicago di Al Capone) in cui sono mescolati temi diversi che Wilder non manca di sbeffeggiare come la diversità dei sessi, il mondo gangsteristico degli anni trenta e le classiche convenzioni sociali. E’ un omaggio quindi anche alla Hollywood degli anni Venti e Trenta, ai suoi film sui gangster, ai film del muto e alle gag dei fratelli Marx. Le situazioni comiche si susseguono con un ritmo incalzante e l’elemento del travestimento tanto caro a Wilder (ricordate Irma la Dolce) qui si presenta al suo apice. Infatti due sprovveduti musicisti di Jazz per sfuggire ai gangster che li braccano, in quanto testimoni della strage di San Valentino, si rifugiano, travestiti da donne, in una orchestra femminile in partenza per la Florida. E qui prenderà piede un divertentissimo vaudeville fatto di amore, gag esilaranti e travestimenti rocamboleschi insieme ad una loro collega e compagna di orchestra interpretata da un memorabile Marilyn Monroe che fornisce quella che da molti viene considerata la sua migliore interpretazione per garbo, ironia e leggerezza. Un film che è una gangster story colma di allegria e sentimenti, in cui oltre a Marilyn spiccano i talenti indiscussi e divertentissimi di Jack Lemmon e Tony Curtis, ma anche i personaggi dei banditi e dei poliziotti che fanno ridere solo a guardarli, in un intreccio fra il serio e il faceto davvero irresistibile.  (clicca per continuare a leggere)  

Regia - A qualcuno piace caldo fu girato interamente in bianco e nero. Billy Wilder rinunciò all'idea di girarlo a colori, anche se l'avrebbe preferito, perché all'epoca la tecnica non era ancora stata messa a punto come lui desiderava. Il fatto che avesse rinunciato perché il pesante trucco utilizzato da Lemmon e Curtis per assumere sembianze femminili avrebbe dato ai loro volti sullo schermo una tonalità verdastra fu una risposta sbrigativa che Wilder diede a Marilyn, che sosteneva che la sua fotografia sarebbe venuta meglio a colori. Nel film Marilyn Monroe canta la celebre “I Wanna Be Loved by You”

Sceneggiatura - Il copione fu scritto da Wilder in collaborazione con I. A. L. Diamond, adattando la storia originale di Robert Thoeren e Michael Logan. Intitolato inizialmente Not Tonight, Josephine (Non stanotte, Josephine), sembra che il titolo del film derivi dalla corrente musicale Hot Jazz e che quindi l'aggettivo Hot si riferisca al genere musicale allora in voga.

Il film riprese un fatto di cronaca realmente avvenuto (la strage di San Valentino) e lo rielaborò secondo i canoni della farsa americana, con equivoci, travestimenti e gag memorabili. Diversi sono i riferimenti ad altre opere e a eventi reali: tra i gangster in particolare, il soprannome "Piccolo Bonaparte" rimanda al Piccolo Cesare di Mervyn LeRoy (1930) e altre situazioni ricordano episodi di Scarface - Lo sfregiato di Howard Hawks (1932) e di Nemico pubblico di William A. Wellman (1931). Lo stesso Piccolo Bonaparte trae spunto, nell'aspetto e nei modi, dalla figura di Benito Mussolini. Le scene sulla spiaggia ricordano quelle della serie sulle Bellezze al bagno di Mack Sennett.

Cast - Rimasero celebri le difficoltà di Marilyn Monroe a imparare per intero le battute esatte, cosa che più volte fece esasperare il regista. In particolare, dopo 47 ciak durante i quali la diva non riusciva a pronunciare la battuta (in lingua originale) It's me, Sugar e 30 ciak per Where's the bourbon?, gli autori dovettero porre delle lavagnette in un punto del set distante dalle inquadrature, per permetterle di leggere le battute. Tuttavia, la Monroe tendeva a leggere sempre la battuta sbagliata, costringendo così gli autori a posizionare le lavagnette una alla volta. Nonostante ciò le sue parole sull'attrice furono sempre affettuose: "Era così incantevole; era difficile lavorare con lei ma, in un modo o nell'altro, quello che ne usciva fuori sullo schermo era stupefacente, emetteva radiosità".

La Monroe, particolarmente colpita dall'arte di Jack Lemmon, desiderava lavorare ancora con lui, ma nel 1960, impegnata sul set di Facciamo l'amore, rinunciò a recitare nel film L'appartamento  in favore di Shirley MacLaine. Nel 1962 la Monroe e Lemmon furono scritturati per Irma la dolce (1963), ma l'attrice morì prima dell'inizio delle riprese e la sua parte andò nuovamente alla MacLaine. Ben diversi furono i rapporti tra la Monroe e Tony Curtis. Per molto tempo, si credette che Curtis avesse detto che baciare la bionda diva fosse stato come "baciare Hitler": lo stesso attore ha però smentito quest'indiscrezione in un'intervista del 2001. Il medesimo Curtis, in ogni caso, rivelò, otto anni dopo, di aver avuto una relazione con la diva, che avrebbe però poi perso il bambino che portava in grembo.

Distribuzione - Il film uscì nel 1959 negli Stati Uniti d'America e in Italia ed ebbe grande successo, nonostante la condanna della Catholic Legion of Decency e malgrado la mancata approvazione della MPAA a causa dei temi scottanti trattati relativamente agli usi e costumi dell'epoca. In Italia fu il secondo film per incassi della stagione cinematografica 1959/60 dopo La dolce vita di Federico Fellini ma prima de La grande guerra di Mario Monicelli.

Curiosità - Nella prima edizione italiana vennero censurate alcune battute del dialogo che si scambiano Curtis e la Monroe durante la scena notturna di seduzione sullo yacht ormeggiato al largo dell'hotel. Tali battute sono state recuperate e doppiate ex novo nella versione proposta nei recenti passaggi televisivi del film.


TRAMA 

Chicago 1929, epoca del proibizionismo. Il sassofonista Joe e il contrabbassista Jerry, due squattrinati musicisti di jazz, vivono con scritture improvvisate. Rimasti senza lavoro dopo un'irruzione della polizia in un locale clandestino, uno dei tanti speakeasy (esercizio commerciale che vende illegalmente bevande alcoliche, in auge in USA durante il Proibizionismo), sono testimoni involontari della strage di San Valentino.

Scampati miracolosamente, ben consapevoli di essere braccati dalla gang di "Ghette" Colombo, esecutrice della strage, tentano di far sparire le proprie tracce travestendosi da donne e facendosi chiamare Josephine e Daphne, aggregandosi a una orchestra jazz femminile in trasferta in Florida, alla quale mancavano un sassofono e un contrabbasso, proprio gli strumenti che suonano i due fuggitivi.

Sul viaggio in treno conoscono Zucchero, bella cantante e suonatrice di ukulele col vizio dell'alcool, reduce da delusioni sentimentali e a caccia di un miliardario da sposare.

Giunti nell'albergo di Miami, per far breccia nel cuore della collega, Joe si cala nei panni di Junior, annoiato miliardario figlio di un magnate del petrolio, sfruttando lo yacht del vero miliardario Osgood Fielding II, che a sua volta s'innamora a prima vista di Daphne, alias Jerry. Mentre Joe passa la sera con Zucchero, Jerry trattiene a terra Osgood e questo dopo una serata di tango chiede la mano di "lui".

Nello stesso albergo si tiene un congresso de "Gli amici dell'opera italiana", in realtà una riunione di gangster, tra cui il gruppo di "Ghette", in cui s'imbattono i due musicisti.

Durante un'ennesima fuga rocambolesca sul motoscafo di Osgood, Zucchero cade fra le braccia di Joe, nonostante lui le riveli di essere un bugiardo squattrinato, mentre Jerry rivela al miliardario di essere un uomo, sentendosi rispondere: "Beh... nessuno è perfetto!"

"TESTIMONE D'ACCUSA"

Giovedì 23 Febbraio 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

TESTIMONE D'ACCUSA (Witness for the Prosecution) 1957

Genere giallo – durata 116 minuti

Regia di Billy Wilder, con Tyrone Power, Charles Laughton, Marlene Dietrich, Elsa Lanchester, Norma Varden.  Il film ha ottenuto 6 candidature a Premi Oscar, ha vinto un premio David di Donatello a Charles Laughton.

Tratto dall'omonimo racconto breve del 1925 della regina del giallo Agatha Christie, trasformato in seguito anche in una commedia teatrale, Testimone d'accusa è stato definito dalla celebre autrice inglese come il miglior adattamento mai realizzato da una sua opera.

Sceneggiato (insieme ad Harry Kurnitz) e diretto dal grande regista Billy Wilder, questo film è senza dubbio uno dei migliori gialli nella storia del cinema, un formidabile dramma giudiziario, un legal thriller ante litteram, che unisce sapientemente la suspense e i colpi di scena tipici degli intrecci della Christie con l'irresistibile humor e la sottile ironia che sono sempre stati un marchio di fabbrica dell'opera di Wilder, che con questo film lascia la commedia sofisticata ma non rinuncia alle tematiche da lui predilette, come l'inganno, gli equivoci e la maschera.

Negli anni '80 ne è stato realizzato un remake, diretto da Alan Gibson, decisamente non all'altezza dell'originale. (clicca per continuare a leggere) 

Sir Wilfred Robarts è un celebre avvocato in convalescenza dopo un grave attacco cardiaco; nonostante le sue precarie condizioni di salute, accetta di assumere la difesa di Leonard Vole, un uomo accusato di omicidio con numerose prove a suo carico. Ma nel corso del processo la moglie tedesca del signor Vole, l'ambigua e affascinante Christine, a sorpresa decide di deporre contro il marito.

Protagonista della storia è il burbero e testardo Sir Wilfred Robarts, principe del foro dal carattere risoluto e dall'intuito infallibile, magistralmente interpretato da un magnifico Charles Laughton, che nonostante la convalescenza si ostina ad occuparsi in prima persona dei casi più difficili e scruta con il suo monocolo i propri interlocutori per capire se stanno dicendo la verità.

Gli fanno da comprimari il tenebroso Tyrone Power e soprattutto una splendida Marlene Dietrich in uno dei ruoli più famosi della sua carriera, quello dell'astuta quanto enigmatica Christine Vole, personaggio-chiave dell'intera vicenda, che la leggendaria attrice tedesca riesce a rendere sullo schermo con straordinaria intensità.

Ma i momenti più divertenti della pellicola derivano di sicuro dalle esilaranti schermaglie fra Sir Wilfred e la sua solerte infermiera, Miss Plimsoll, interpretata dalla bravissima Elsa Lanchester (nella realtà moglie di Laughton), che tenta con tutte le forze di farlo restare a riposo e gli proibisce di fumare i suoi sigari.

Dotato di una sceneggiatura brillante e coinvolgente che trasmette alla perfezione lo spirito del racconto della Christie, Testimone d'accusa è un autentico gioiello nella produzione di Wilder, della quale riprende alcuni temi canonici quali l'uso del raggiro e della menzogna da parte dei personaggi (una costante di tutte le pellicole del regista, da Frutto proibito a La fiamma del peccato, da Baciami, stupido a Non per soldi... ma per denaro) e l'impossibilità di comprendere la verità dei fatti se non quando ormai è troppo tardi, come accadrà in seguito anche al più celebre detective d'Inghilterra in uno dei film più amari e crepuscolari del regista, La vita privata di Sherlock Holmes (1970).

Emblematico il finale della storia, in assoluto uno dei più geniali e sorprendenti della letteratura gialla: una tagliente metafora sull'ingannevolezza della realtà e sul fallimento della logica e del raziocinio.

 TRAMA

 Sir Wilfrid Robarts, un avvocato penalista di successo, torna al lavoro dopo settimane di degenza forzata in ospedale, in seguito a un infarto. Più deciso che mai a riprendere in mano casi e reputazione il più in fretta possibile, ignorando le disposizioni del proprio medico e della coriacea e petulante infermiera Miss Plimsoll, Robarts accetta di ricevere in studio il collega e procuratore Mayhew che intende affidargli la difesa dello squattrinato e ingenuo Leonard Vole, accusato dell'omicidio di Emily French, una ricca vedova.

 La colpevolezza di Vole sembra lampante ma Sir Wilfrid è attratto dalla sfida professionale e, dopo qualche titubanza e malgrado l'ostinata opposizione di Miss Plimsoll, accetta di assumere la difesa di Vole, coadiuvato dal collega Brogan-Moore. La posizione di Vole si aggrava quando si scopre che la French gli ha lasciato in eredità la somma di 80.000 sterline, ed egli viene tratto in arresto. A fornirgli un alibi è sua moglie Christine Helm, che si presenta nello studio di Sir Wilfrid affermando di aver visto tornare a casa il marito all'ora esatta in cui veniva commesso il delitto.

Durante un successivo colloquio con Sir Wilfrid, Christine sorprende l'avvocato rivelandogli di non essere la legittima moglie di Vole ma di essersi fatta sposare pur avendo già un marito, allo scopo di lasciare la Germania distrutta dalla seconda guerra mondiale e di rifarsi una vita in Inghilterra. Il processo inizia e vengono ascoltati in aula i testimoni, fra i quali Janet MacKenzie, la governante della vittima, che si dimostra particolarmente ostile nei confronti dell'imputato. A sorpresa, l'accusa chiama a deporre proprio la moglie di Vole, la quale cambia inaspettatamente versione, negando di essere legalmente sposata con l'uomo e affermando che Vole, la sera del delitto, in realtà è rientrato a casa circa 45 minuti dopo rispetto a quanto riferito in precedenza e con gli abiti macchiati di sangue.

L'inattesa testimonianza a suo sfavore fa precipitare Vole nella disperazione, mentre Sir Wilfrid vede vacillare tutta la sua linea difensiva poiché la fredda e precisa deposizione dell'impietosa Christine è risultata estremamente convincente. Sir Wilfrid viene poi contattato da una misteriosa donna dall'accento cockney, che dichiara di essere in possesso di una serie di lettere d'amore scritte dalla Helm al suo amante. Intravedendo la possibilità di screditare la testimonianza della moglie di Vole, Sir Wilfrid ottiene le lettere, compresa una in cui Christine scrive espressamente al suo amante di voler incastrare il marito con una falsa testimonianza allo scopo di liberarsi di lui, e presenta il carteggio in tribunale, riuscendo abilmente a capovolgere la situazione e a provocare l'indignazione del pubblico nei confronti della donna, che sul banco dei testimoni perde il controllo e confessa i suoi spregevoli intenti.

Impressionata dal crollo emotivo di Christine Helm, dalle cui lettere risulta evidente il desiderio di sbarazzarsi del marito, la giuria dichiara Vole innocente. Mentre riceve i complimenti dai legali avversari, Sir Wilfrid non è però del tutto soddisfatto, poiché è convinto che alcuni aspetti della vicenda non siano stati chiariti. Rimasto a riflettere nell'aula ormai vuota, viene raggiunto da Christine Helm, la quale gli rivela che tutto è stato una farsa: la misteriosa donna dall'accento cockney (caratteristico di chi è nato a Londra) non era altri che lei travestita, con in mano delle lettere false; dovendo rinunciare a deporre in favore del marito, che sapeva colpevole, aveva preferito testimoniargli contro, e ciò proprio allo scopo di essere poi sbugiardata in pubblico dall'avvocato e quindi indirettamente di salvare Vole, anche a costo di dover scontare una pena per falsa testimonianza.

Christine però ignora che il marito ha da tempo trovato un'altra donna, che compare in scena in quel momento insieme a Vole, il quale respinge infatti l'abbraccio della moglie con indifferenza; ferita e umiliata, Christine afferra un coltello, reperto lasciato su un tavolo durante l'udienza, con cui gli trafigge il ventre, vendicandosi dell'ignobile tradimento, sotto lo sguardo sgomento dell'amante e di Sir Wilfrid. Miss Plimsoll commenta stupefatta l'accaduto dicendo: "l'ha ammazzato"; tuttavia l'avvocato corregge la sua infermiera, precisando che più che aver ammazzato Vole, Christine "lo ha giustiziato". Quando la donna viene portata via dagli agenti, Sir Wilfrid - sotto lo sguardo finalmente benevolo e comprensivo di Miss Plimsoll - annuncia di volersi subito mettere al lavoro per assumere la difesa di Christine.

"SABRINA"

Giovedì 2 Marzo 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

SABRINA

commedia, sentimentale  - durata 113 min

Film del 1954 diretto da Billy Wilder e interpretato da Audrey Hepburn (Sabrina Fairchild), Humphrey Bogart (Larry/Linus Larrabee) e William Holden (David Larrabee). Si tratta di un adattamento dell'opera teatrale americana "Sabrina Fair" (1953) di Samuel A. Taylor

E’ una commedia brillante che fonde, in un perfetto equilibrio, romanticismo, critica sociale ed ironico umorismo. All’uscita ebbe subito un vasto ed immediato successo di pubblico e di critica.

 L’attrice era reduce dal successo ottenuto l’anno prima da Vacanze romane di William Wiler, con cui aveva vinto l’Oscar per la migliore attrice, interpretato insieme a Gregory Peck. La Hepburn era di padre tedesco e madre olandese, nata in Belgio e vissuta poi fra il Belgio, l’Olanda e l’Inghilterra. La sua vera passione in realtà all’inizio era la danza (molto appropriata al suo fisico esile e filiforme), ma le vicissitudini della guerra con l’invasione dei tedeschi del Belgio e dell’Olanda e le conseguenti peregrinazioni la portarono ad abbracciare la recitazione. (clicca per continuare a leggere) 

Il film Sabrina narra la storia di una ragazza di umili origini, era figlia dello chauffeur di una ricchissima famiglia americana, che da pulcino nero, snobbata ed evitata da tutti, dopo un soggiorno a Parigi per uno stage di lavoro, si trasforma in candido cigno ed è subito preda ora delle attenzioni di uno dei rampolli (scapestrato e scansafatiche, di cui precedentemente era innamorata) della ricca famiglia di cui il padre era dipendente, riuscendo così ad elevarsi nella scala sociale e a imporsi in quell’ambiente prima così indifferente e quasi ostile.

E’ quindi una favola moderna in cui però Wilder si diverte anche a mettere alla berlina le abitudini e i ridicoli atteggiamenti snob di quelle famiglie di ricchi magnati in evidente contrasto con le reazioni più vere e spontanee, anche se a volte ingenue, dei cosiddetti poveri. 

La critica sociale dell’autore è rivolta a quell’alta società americana che trovava inopportuno e disdicevole che il rampollo di una loro famiglia frequentasse e men che meno sposasse una ragazza di umili origini e quindi economicamente non alla loro altezza. Wilder tratta però tutti questi temi, in fondo l’eterno scontro tra proletariato e borghesia, con leggerezza, garbo e bonaria ironia, facendoci capire che il proletariato deve travestirsi da essere sofisticato se vuole entrare nel mondo della borghesia ed esservi accettato. 

Tutto ciò è per alcuni elevazione e riscatto (la servitù fa il tifo per la giovane), per altri è puro arrivismo (considerazioni della famiglia ricca), per altri una utopia folle (il padre di lei). In realtà la trasformazione della ragazza non è dettata da nessun calcolo ma è un processo assolutamente naturale e casuale.

Il grande merito di Wilder fu che riuscì a ritagliare questo personaggio in modo perfetto addosso ad Haudrey Hepburn, attrice dall’aspetto fisico esile ed etereo con quei grandi occhi da cerbiatta che sembrava appunto uscita da una fiaba, tutto il contrario delle figure femminili da maggiorate o da donne provocanti alla Marilyn tanto in voga in quegli anni. 

La presa sul pubblico di questo personaggio fu immediata e totale, tanto è vero che in Italia per esempio prima dell’uscita di questo film il nome Sabrina per le bambine era pressoché sconosciuto, ma che poi divenne molto popolare. Un film in definitiva che anche dopo tanti anni oggi mantiene intatta la sua freschezza e godibilità come i suoi temi e le sue problematiche mai tramontati.

Fu girato in California, tra gli studios di Hollywood per le scene di Parigi e la dimora 'Hill Grove' di George Lewis a Beverly Hills (California), che venne utilizzata come magione dei Larrabee, anche se nel film si troverebbe a Long Island (New York). La stazione del treno e il grattacielo quartier generale della Larrabee Company esistono ancora a New York.

Costumi  (premio Oscar per i Costumi 1955) - Audrey Hepburn stessa acquistò nell'estate del 1953 a Parigi alcuni abiti per il film su indicazioni della costumista di Hollywood Edith Head, dalla collezione di Balenciaga: un completo di lana grigia da indossare con un turbante di chiffon, un abito bianco di organza ricamato e un vestito da cocktail nero con scollo a barchetta. I modelli furono poi appositamente modificati per il film nei tessuti, nei colori e in alcuni dettagli, in modo che la Paramount non fosse costretta a citare la casa di moda nei titoli di coda. Questa particolare attenzione ai costumi era motivata dal desiderio di rendere credibile la trasformazione del personaggio di Sabrina su un'attrice che non era ancora considerata un'icona di stile e che si discostava invece molto dall'ideale di bellezza femminile dell'epoca incarnato da dive come Marilyn Monroe e Grace Kelly e dagli abiti iperfemminili del New Look di Christian Dior.

Cast - Per gli scontri tra regista e sceneggiatori (soprattutto Taylor, autore dell'opera teatrale che non riconosceva le libere interpretazioni di Wilder), Wilder si ritrovò spesso in difficoltà a presentare le pagine del copione da un giorno all'altro; per questo domandò più volte ad Audrey Hepburn di ripetere le scene o di addurre malori per posticipare le riprese. La Hepburn si prestò all'aiuto, ma Bogart, già infastidito di non essere stato considerato come prima scelta (Wilder si era rivolto inizialmente a Cary Grant) per il suo ruolo, che avrebbe voluto recitare con la moglie Lauren Bacall nel ruolo di Sabrina e soprattutto all'oscuro delle difficoltà sulla sceneggiatura, divenne molto critico nei confronti di Wilder e della Hepburn, anche pubblicamente. Solo anni dopo, Bogart chiese scusa a Wilder per il suo comportamento. Il film fu anche scenario di una breve relazione tra la Hepburn e Holden, che non proseguì perché Holden era sposato, ma rimasero amici negli anni.


Trama 

Sabrina Fairchild è una timida e graziosa ragazza, figlia dell'autista di una famiglia miliardaria di Long Island, i Larrabee. Da sempre innamorata del secondogenito David, il classico dongiovanni perdigiorno, il quale però non ha molta considerazione di lei, la giovane passa le serate arrampicata su un albero da dove può assistere alle feste e ai ricevimenti della famiglia, e da dove può vedere David mentre balla in compagnia di altre belle ragazze provenienti da famiglie facoltose. Una volta di più frustrata a causa del suo amore non corrisposto, Sabrina tenta di uccidersi rinchiudendosi nel garage e accendendo i motori delle otto auto di famiglia. Casualmente salvata da Larry, fratello maggiore di David, il giorno seguente Sabrina parte per Parigi, dove rimarrà due anni a frequentare una prestigiosa scuola di cucina. Nella magica città francese la giovane ritrova la gioia di vivere, ma il suo cuore rimane pur sempre per David, al quale non smette di pensare.

Al ritorno a casa, Sabrina appare trasformata: da ragazza un po' goffa e impacciata è divenuta una splendida ed elegante giovane donna; anche David non la riconosce quando la vede davanti alla stazione e le offre un passaggio in auto. Solo al momento dell'arrivo sul piazzale di casa, vedendo la festosa accoglienza da parte degli altri domestici, David si rende conto di chi è in realtà la ragazza.

Impressionato dal grande cambiamento di Sabrina, David si mostra molto interessato a lei e la invita la sera stessa al ricevimento che si terrà nella villa. Il giovane Larrabee è però fidanzato ed in procinto di sposarsi per la quarta volta. Infatti Larry, grande uomo d'affari che dirige l'azienda Larrabee, ha combinato il matrimonio tra il fratello ed Elizabeth Tyson, erede di una famiglia che possiede vaste piantagioni di canna da zucchero, materia prima indispensabile per la nuova invenzione firmata Larrabee. Quella sera David riesce a liberarsi della fidanzata con uno stratagemma, per raggiungere Sabrina, ma la situazione si fa tragicomica quando Larry lo conduce dal padre il quale non è affatto contento del comportamento del figlio, colpevole di compromettersi con una domestica.

 

Larry finge di prendere le parti del fratello, ma in realtà intende rispedire Sabrina a Parigi in modo da poter concludere l'accordo con l'azienda dei Tyson; viene facilitato nel suo piano, in quanto David rimane ferito e costretto a rimanere a casa, dopo essersi accidentalmente seduto mentre portava in tasca i bicchieri per lo champagne.

Durante la convalescenza di David, Sabrina trascorre quindi molto tempo insieme a Larry rendendosi conto che egli non è un freddo uomo d'affari, anzi una persona molto cara. Lei ama raccontargli di Parigi, pensando che anche a lui quella città possa piacere; un giorno gli sistema anche il suo classico cappello nero secondo la moda parigina. Così la giovane comincia ad accorgersi che forse non è David l'amore della sua vita. Nel frattempo anche Larry si è innamorato di Sabrina e si sente in colpa perché il piano da lui progettato prevede di farla imbarcare per Parigi da sola, ciò non solo significa ferirla ma anche mentirle, perciò le rivela tutto.

Sabrina si prepara tristemente alla partenza dell'indomani, giorno in cui è fissata la firma del contratto tra le aziende Larrabee e Tyson. Dopo aver appreso dal fratello che Sabrina sta partendo sola, David ha ormai capito quello che c'è tra i due e incita Larry a seguirla. Larry non è convinto e perciò ripete al fratello che è lui, David, quello che deve andare con Sabrina, sicuro che egli partirà.

In seguito, al momento della firma dell'accordo, David non si presenta alla riunione e dalla finestra Larry assiste alla partenza della nave su cui è imbarcata Sabrina... ma proprio quando Larry sta per rivelare a tutti dove si trova veramente il fratello, ecco che David piomba nella stanza scusandosi per il ritardo. Larry, ormai incastrato dal fratello, non può più negare di amare Sabrina e così abbandona l'ufficio di corsa, scusandosi con i presenti, e si precipita al porto dove sale sul suo rimorchiatore con cui potrà raggiungere la nave.

Intanto Sabrina sta malinconicamente seduta sul ponte, quando un membro dell'equipaggio le porta un cappello e le riferisce che un uomo che si trova a bordo ha chiesto che sia lei a sistemarlo. La giovane si guarda intorno, quand'ecco che spunta Larry, impeccabile come al solito. I due si abbracciano, felici di ritrovarsi di nuovo, pronti a passare la vita insieme.

 

Riconoscimenti - Il film ha ricevuto sei nomination ai premi Oscar 1955 vincendo l'Oscar per i migliori costumi. Ha vinto anche il Golden Globe per la migliore sceneggiatura. Nel 1954 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno . Nel 2002 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Remake - Nel 1995 è stato realizzato il film omonimo diretto da Sydney Pollack, con Julia Ormond nel ruolo di Sabrina Fairchild, Harrison Ford nel ruolo di Linus Larrabee e Greg Kinnear nel ruolo di David Larrabee.

"FEDORA"

Giovedì 16 Marzo 2023 ore 15:30 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

Fedora è un film drammatico del 1978 (durata 114 minuti) diretto da Billy Wilder, interpretato da William Holden, Marthe Keller, Hildegard Knef  e con brevi parti di Henry Fonda e Michael York nei ruoli di se stessi. La vicenda inizia quando Barry  Dettweiller un produttore cinematografico si reca sull’isola di Corfù nel tentativo di convincere una diva del passato, Fedora, a tornare a recitare in un film dopo molti anni di assenza da Hollywood. La donna però vive reclusa nella villa dell’anziana contessa Sobryanski e non può ricevere visite. Ma qual è il segreto della sua imperitura giovinezza che, nonostante il passare del tempo, la fa apparire ancora così bella?

Nel 1950, il grande regista scriveva un capitolo della storia del cinema con Viale del tramonto, l’indimenticabile capolavoro interpretato da Gloria Swanson e William Holden, che rappresentava (come mai nessuno aveva fatto prima) gli spettri nascosti dietro i miti del successo e della celebrità. A quasi trent’anni di distanza, nel 1978, Wilder ci ha raccontato una storia analoga con il penultimo film della sua lunga carriera, Fedora, film in realtà poco conosciuto e tratto da un racconto di Tom Tryon sceneggiato da Wilder insieme al fedele collaboratore I.A.L. Diamond. Una pellicola contraddistinta da più di una analogia con Viale del tramonto del quale recupera numerose tematiche e suggestioni e con il quale ha in comune anche il medesimo protagonista, William Holden che, se nel 1950 prestava il volto all’ambizioso sceneggiatore Joe Gillis, ora veste il ruolo del disilluso produttore Barry Detweiller.

L’incipit del film è già di per sé memorabile: una figura femminile, avvolta in un ampio mantello nero, si uccide lanciandosi sotto un treno in corsa, come nel finale di Anna Karenina. Si tratta di Fedora, mitica star dell’epoca d’oro di Hollywood, la cui esistenza è avvolta da un alone di mistero. Subito la voce narrante di Detweiller ci riporta indietro a due settimane prima (un meccanismo che riecheggia quello di Vile del tramonto), per illustrarci il suo viaggio a Corfù allo scopo di persuadere la matura attrice a tornare di nuovo sul set. Ed è proprio lei, Fedora, il fulcro del film: un personaggio ambiguo e sfuggente, ispirato in parte a Greta Garbo (un’altra “divina” che, all’apice della popolarità, abbandonò Hollywood per chiudersi in un volontario ritiro) ed in parte a quella di Norma Desmond resa immortale dalla Swanson. Infatti la prima metà del film si presenta come una mistery story: perché la contessa Sobryanski (Hildegard Knef) e il dottor Vando (José Ferrer) fanno di tutto perché nessun estraneo si avvicini a Fedora? E come fa la diva, ormai alla soglia dei settant'anni, a mantenersi così giovane, come se per lei (quasi un moderno Dorian Gray) il tempo si fosse fermato?

Le risposte arriveranno solo nel secondo tempo, interamente costruito tramite una serie di flashback che ripercorrono la vita di Fedora. Il tutto è circondato da un'atmosfera mortifera e decadente, che disegna un'inquietante parabola sull'ossessione di Hollywood per l'aspetto fisico e per la bellezza e su come "l'immagine" finisca per prendere il sopravvento (perfino in senso letterale) sulla realtà e sull'identità di una persona. Siamo ancora dalle parti di Viale del tramonto: c’è la crudeltà del mondo del cinema, c’è William Holden. Gli anni sono passati e la cattiveria di Wilder forse non colpisce più con la rapidità e la ferocia di un tempo, ma la storia è comunque bella, malinconica e crudele. Al di là del tono ferocemente ironico e grottesco, Fedora è anche l'elegia di un regista settantenne per quella Hollywood "classica" che purtroppo non esiste più e della quale Wilder arriva addirittura a celebrare le esequie attraverso il funerale di Fedora.


"NON PER SOLDI MA PER DENARO"

Giovedì 23 Marzo 2023 ore 15:30

 Sala Attività della Biblioteca Sperelliana

NON PER SOLDI MA PER DENARO

Film scritto e diretto da Billy Wilder nel 1966 - commedia brillante

Interpreti: Jack Lemmon e Walter Matthau  -  durata 125 minuti

 

In sedici piccoli capitoli, corrispondenti ognuno ad un “tic” dell’homo economicus da stigmatizzare, si dipana la bravura dei meravigliosi Jack Lemmon (una brava persona) e Walter Matthau (un cinico truffatore), quest’ultimo con un personaggio memorabile, giustamente premiato con l’Oscar.Impossibile non divertirsi grazie anche agli spassosi dialoghi pennellati con umorismo nero dagli sceneggiatori Billy Wilder e I.A.L. Diamond: peccato che, per quanto il racconto sia una fucina di idee, verso la fine si avvii su risvolti prevedibili. Nonostante la lunghezza (più di due ore, forse troppe), Wilder non dà tregua allo spettatore, sommergendolo di battute fulminanti, incantandolo in una struttura drammaturgica per nulla risaputa e, con la consueta intelligenza caustica, immettendo sotto la commedia non poche tracce sconsolate, soprattutto nel delineamento di alcuni caratteri di contorno. Più che nella realizzazione del film in sé, il merito di Billy Wilder consiste in un’intuizione geniale: affiancare Walter Matthau a Jack Lemmon. Contrapporre il sorriso candido del secondo al cipiglio scorbutico del primo e dare vita a un sodalizio trentennale, tra i più fortunati della storia del cinema. (clicca per continuare a leggere)


Il cameraman Harry Hinkle (Jack Lemmon) viene travolto accidentalmente, durante un incontro di rugby, dal mastodontico giocatore nero Luther “Boom Boom” Jackson. La caduta gli provoca soltanto una lieve commozione cerebrale, ma il cognato di Harry, il cinico avvocato Willie Gingrich (Walter Matthau), lo sprona a fingersi invalido per riscuotere il lauto rimborso assicurativo. Harry dapprima rifiuta, ma quando Willie gli prospetta il ritorno dell’ex moglie Sandy, che gli fa credere di volerlo accudire, i suoi sentimenti mai sopiti per lei prendono il sopravvento sulla sua coscienza e Harry accetta di mentire a tutti. Boom Boom, piegato dai sensi di colpa, si prende cura di lui, e fra i due inizia una tenera amicizia. Nel frattempo gli scettici avvocati della parte avversa fanno registrare a due buffi detective le giornate di Harry, sperando che prima o poi si tradisca.

 

Il film si presenta quasi come una parabola sul valore dell’onestà. Lo schieramento manicheo fra avidi e puri di cuore sfuma molto raramente nelle tonalità di grigio: molto più spesso, i personaggi sono tratteggiati da gesti e dialoghi che li rendono delle maschere e l’effetto ironico che ne scaturisce sbilancia il film verso un umore grottesco, più che realistico. Del resto la stessa suddivisione in capitoli – definiti argutamente da Alessandro Cappabianca “16 piccole, folgoranti ‘moralità’ che percorrono un universo balzachiano del comportamento economico” – non fa che accentuare gli aspetti da antica favola con morale e il suggestivo finale ne è un’agrodolce conferma: in uno stadio vuoto, Harry e Boom Boom si sfidano in un match consolatorio. Gli unici superstiti in un mondo spazzato via dall’avidità, verrebbe da dire, e come titolo dell’ultimo capitolo sarebbe perfetto.

 

Ma nella pellicola c’è dell’altro, qualcosa che lo eleva e scalza ogni retorica, ogni ridondanza. È l’umorismo: un umorismo impeccabile, che si ritrova nelle battute firmate Wilder e Diamond, nelle espressioni di gomma di Matthau, nella caratterizzazione dei personaggi secondari, dal detective che bofonchia ma non si arrende (Cliff Osmond) al vecchietto caduto su una buccia di banana.

È proprio l’umorismo, in genere l’ingrediente più soggetto a deterioramento, a scavare in un cinismo un po’ di maniera, rendendo un film del 1966 ancora giovane quarant’anni dopo. Il biglietto premonitore che Harry trova nel biscotto della fortuna, così, non si risolve in un mero orpello retorico, ma – facendo da pendant al discorso di Abramo Lincoln appena sentito da Harry in un film storico – si armonizza con l’umorismo di tutto il resto e smussa una frammentarietà insita nella stessa suddivisione in capitoli.

 

L’opera valse a Walter Matthau l’Oscar come miglior attore non protagonista e consacrò già alla nascita una coppia di attori eccellenti, che sublimavano i tratti peculiari dell’altro grazie a due aure buffamente contrastanti. L’aver intuito questo contrasto, però, è soprattutto merito della magistrale lungimiranza di Wilder e dalla sua intuizione attinsero molti registi dopo di lui.

Non sappiamo cosa passasse in quel periodo Billy Wilder, ma sicuramente doveva essere molto negativo d'umore verso il genere umano visto che, insieme a Baciami Stupido e l'Appartamento, questa è la pellicola più cinica e nera del regista,

basata su un argomento interessante e senz'altro di attualità come le truffe assicurative; Wilder mette alla berlina i rapporti interpersonali tra i parenti basati sul mero interesse economico e non sugli affetti. La critica del regista si muove in special modo verso la figura del viscido avvocato senza scrupoli che campa truffando le assicurazioni le quali, pur di non cacciare soldi, sono pronte ad inventarsi ogni cavillo legale e ogni tipo di possibilità pur di non pagare. Anche l'ex-moglie Sandy ne esce fatta a pezzi dalla vicenda, visto che alla fine mira a parte dell'indennizzo per soddisfare le sue ambizioni lavorative personali. Con questi personaggi, la redenzione umana è molto più amara e tocca solamente i personaggi di Henry Hinkle e Luther Jackson, il quale accudisce e assiste quasi giornalmente il primo perchè incapace di darsi pace dell'incidente avvenuto per colpa sua. Per Wilder i perdenti di questo mondo, sono le persone semplici e che tentano di vivere in modo onesto; non fatevi ingannare dal finale che è tutt'altro che lieto visto che è solo un illusione che un bianco e nero (le due facce dell'America) puri d'animo, potranno uscire indenni questo mondo che appartiene ai milioni di Gingrich e Sandy.

Possiamo dire Jack Lemmon rappresenta una tipologia di personaggi di statura morale (che l'attore ha quasi sempre incarnato sul grande schermo) destinati a soccombere, innanzi ad una nuova generazione di figure ciniche, spietate, se non propriamente negative, che le nuove generazioni di spettatori chiedevano a gran voce, cioè personaggi come Walter Matthau. Ci si ritrova innanzi all'ennesima grande commedia di questo regista straordinario. Inconcepibile che nonostante sia un film a passo con i tempi "cupi" in cui uscì, il pubblico rifiuterà quest'opera come in precedenza aveva rifiutato Baciami Stupido, si vede che per gli americani la commedia in linea di principio deve essere comunque positiva e non permeata da uno spirito cinico. A scapito di ciò il film ebbe 4 nomination all'Oscar tra cui miglior sceneggiatura e Walther Matthau vinse meritatamente il premio Oscar come miglior attore non protagonista, per il ritratto spietato e per nulla caricaturale di questo famelico avvocato senza scrupoli morali. Ad oggi comunque resta l'ennesimo film riuscito di questo titanico autore le cui commedie sono perfettamente fruibili da spettatori di ogni cultura, sesso ed estrazione sociale.

CONSEGNA ATTESTATI CINEFORUM “Ciclo di film di Billy Wilder”

A cura dell’ Ing. Cesare Quondam Marco

dal 12 gennaio al 2 marzo 2023

Mercoledì 15 Marzo 2023 consegna degli attestati di partecipazione al “Ciclo di film di Billy Wilder” a cura dell' Ing. Cesare Quondam Marco dal 12 gennaio al 2 marzo 2023 presso la Sala Attività della Biblioteca Sperelliana di Gubbio ai seguenti partecipanti:

Baldinelli Luciana

Becchetti Anna Gloria

Cardinale Maria Luigia

Carletti Ivana

Fortis Maria Grazia

Ghiandoni Francesco

Ghigi Giovanna Lidia

Lo Gatto Fanny

Manuali Manuela

Martini Adriana

Martini Sandrina

Menichetti Pina

Olivieri Carlo

Panfili Rita

Pascolini Cesarina

Sadowski Eileen

Sannipoli Cesarina

 

Il ciclo è stato incentrato su alcuni dei film di Samuel “Billy” Wilder (1906 – 2002), regista, sceneggiatore, produttore, cinematografico austriaco naturalizzato statunitense.

Considerato uno dei registi e sceneggiatori più prolifici ed eclettici nella storia del cinema statunitense, è divenuto celebre come il padre della commedia brillante americana e maestro indiscusso del genere negli anni Cinquanta e Sessanta, ma è anche da annoverare fra i fondatori del genere noir  (termine introdotto nel 1946 da alcuni critici francesi con riferimento a film statunitensi tratti da romanzi polizieschi  che in Francia venivano pubblicati dall’editore Gallimard nella “Série noire”, così denominata dal colore delle copertina).

Nel noir il protagonista è di solito una persona comune, che conduce una vita apparentemente tranquilla ma che, a un certo punto, si ritrova in una situazione inaspettata che può portarlo a commettere un crimine, a esserne vittima, oppure a esserne coinvolto in qualche modo. In altre storie noir, invece, il protagonista è un vero e proprio criminale che conduce la sua vita macchiandosi di reati a volte anche gravi. In generale, il protagonista noir è sempre un antieroe, ossia una figura almeno in parte negativa, tendente all’autodistruzione o caratterizzata da immoralità, avidità e cinismo: si tratta di un personaggio che vive una sorta di alienazione che contribuisce a rendere ancora più cupa e pessimistica l’atmosfera delle avventure narrate. Tra gli altri personaggi tipici di questa corrente letteraria ci sono poi anche gangster, criminali di vario tipo, prostitute e altri personaggi femminili archetipici come la classica femme fatale ambigua, avida e manipolatrice. In genere il luogo dove la storia si sviluppa è una metropoli oscura dove regna la criminalità e il degrado, non solo ambientale ma soprattutto morale, scena di  violenza, trame criminose, atmosfere inquietanti.

 

I film proposti hanno dunque oscillato tra il genere della commedia e quello noir, ma sono accomunati dalla caratteristica inconfondibile di questo regista che ha  saputo imporre il proprio stile di fumettista moralista e caustico, ha invocato temi polemici nei suoi film comici e ha tentato di sfidare l'opinione prevalente e l'anglosassone puritanesimo.

In circa cinquant'anni di carriera ha diretto oltre venticinque film e scritto settantacinque sceneggiature.


OSCAR: Wilder è la nona persona ad aver ricevuto più premi Oscar nella storia del Cinema: infatti ha vinto 6 statuette su 21 nomination ricevute.

1945, Oscar al miglior regista per Giorni perduti.

1945, Oscar alla migliore sceneggiatura non originale per Giorni perduti.

1950, Oscar alla migliore sceneggiatura originale per Viale del tramonto.

1960, Oscar al miglior film per L'appartamento.

1960, Oscar al miglior regista per L'appartamento.

1960, Oscar alla migliore sceneggiatura originale per L'appartamento.


Tra i film oggetto del ciclo ben quattro hanno vinto l’Oscar:

Viale del Tramonto, 3 Oscar nel 1951  (sceneggiatura originale, scenografia, colonna sonora)

Sabrina, Oscar 1955 (costumi)

L’appartamento, 5 Oscar 1961 (film, regia, sceneggiatura originale, montaggio e scenografia)

Irma la dolce, Oscar 1964 (colonna sonora)

 

  

I film del genere commedia proposti  sono i seguenti:


SABRINA – 1954 - con Audrey Hepburn, Humphrey Bogart  e William Holden,  commedia brillante che fonde romanticismo, critica sociale ed ironico umorismo. La storia di una ragazza di umili origini che salta lo steccato delle classi sociali.


A QUALCUNO PIACE CALDO  - 1959 - con Marilyn Monroe, Tony Curtis Jack Lemmon. Una rivisitazione umoristica degli anni Venti e Trenta del proibizionismo in America con le bande di gangster, le band jazzistiche, i travestimenti le relative situazioni comiche.

L'APPARTAMENTO - 1960 – con  Jack Lemmon, Shirley MacLaine e Fred Mac Murray. Vincitore di cinque Oscar nel 1960 (miglior film, regia, sceneggiatura originale, montaggio e scenografia) è la pellicola forse più amara e feroce di Wilder sui rapporti umani dell’America degli anni Sessanta dove le falsità e l’individualismo del mondo del lavoro invadono anche le dinamiche affettive personali e la vita privata degli individui.

IRMA LA DOLCE  - 1963 - con Jack Lemmon e Shirley MacLaine. Spumeggiante commedia ambientata a Parigi nel mondo delle cocottes parigine, dove il gusto di Wilder per il travestimento e lo scambio di identità trovano la loro massima espressione.

NON PER SOLDI MA PER DENARO - 1966 - con Jack Lemmon e Walter Matthau. Commedia brillante, ma al tempo stesso amara, sul tema di una truffa ai danni di una società di Assicurazioni, tentata da un cinico avvocato che vuole coinvolgere un onesto cittadino, quasi una parabola sul valore dell’onestà, sempre più rara nel mondo d’oggi.

  

I film del genere noir – poliziesco proposti sono i seguenti:

LA FIAMMA DEL PECCATO – 1944 – con Fred MacMurray Barbara Stanwyck e Edward G. Robinson, considerato uno dei primi e più rappresentativi film noir per la cupa ambientazione urbana e l'intensa caratterizzazione dei personaggi in cui si critica la sete smodata di denaro e di sesso che porta l’individuo alle azioni più abbiette e criminali.

 VIALE DEL TRAMONTO - 1950 -  con William Holden e Gloria Swanson, propone una forte critica ai cinici meccanismi e alle stravaganze di Hollywood, in particolare dello star system, considerato uno dei migliori film di Hollywood sul divismo e sul cinema del passato.

L'ASSO NELLA MANICA – 1951 – con Kirk Douglas, melodramma sulla macchinazione di un giornalista disposto a tutto pur di raggiungere lo scoop, film che precorre il tema della spettacolarizzazione della cronaca e delinea un amaro spaccato della società contemporanea, uno dei film più amari e spietati sul cinismo dei mass media, emozionante e profetico.

TESTIMONE D'ACCUSA – 1957 - con Tyrone Power, Charles Laughton e Marlene Dietrich.  Senza dubbio uno dei migliori gialli nella storia del cinema, un formidabile dramma giudiziario, un legal thriller ante litteram, che unisce sapientemente la suspense e i colpi di scena tipici degli intrecci di Agatha Christie, al cui omonimo racconto del 1925 si ispira,  con l'irresistibile humor e la sottile ironia da sempre marchi di fabbrica dell'opera di Wilder, che con questo film lascia la commedia sofisticata ma non rinuncia alle tematiche da lui predilette, come l'inganno, gli equivoci e la maschera.

FEDORA - 1968 - Il film recupera numerose tematiche e suggestioni  di Viale del tramonto con il quale ha in comune anche il medesimo protagonista, William Holden. Interamente costruito tramite una serie di flashback, disegna un'inquietante parabola sull'ossessione di Hollywood per l'aspetto fisico e per la bellezza e su come "l'immagine" finisca per prendere il sopravvento, perfino in senso letterale,  sulla realtà e sull'identità di una persona.