Cineforum "La donna del Sud" a.a.2024/2025
Cineforum a.a. 2024/2025: "La Donna del Sud nei Film italiani d'Autore"
con la guida dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Il cineforum "La Donna del Sud nei Film d'Autore" si propone di esplorare attraverso il cinema d’autore italiano la rappresentazione delle donne del Sud, figure simboliche di una società tradizionale e in trasformazione. La finalità è stimolare una riflessione collettiva sul ruolo della donna, sulle dinamiche sociali, culturali e familiari che la caratterizzano, offrendo ai Soci dell’Università della Terza Età Città di Gubbio uno spazio di incontro e dialogo. (Continua a leggere)
Obiettivi:
Riflessione sulla figura della donna del Sud: comprendere come le donne del Sud Italia siano state rappresentate nei film d’autore e quali temi centrali emergono, come il matrimonio, l’onore, la libertà individuale e le tradizioni;
Valorizzazione del cinema italiano: far conoscere e apprezzare ai partecipanti alcuni dei capolavori del cinema italiano diretti da grandi maestri del cinema come Pietro Germi, Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Luigi Zampa;
Socializzazione e confronto: creare un’occasione di incontro in cui i Soci possano condividere opinioni, ricordi e riflessioni, favorendo il dialogo e la socialità;
Stimolazione cognitiva e culturale: promuovere la discussione critica e l’analisi cinematografica, stimolando la memoria, la capacità di esprimersi e di interpretare simboli e metafore presenti nei film.
Promuovere il dibattito generazionale: esplorare come la figura della donna del Sud sia cambiata nel tempo, anche rispetto all'esperienza vissuta dai partecipanti.
Modalità di Svolgimento:
1. Proiezioni settimanali: ogni settimana verrà proiettato un film nella Sala Attività della Biblioteca Sperelliana di Gubbio, la proiezione sarà seguita da un dibattito aperto, moderato dal conduttore del cineforum.
2. Introduzione e approfondimenti tematici: prima di ogni proiezione verranno introdotti i temi principali del film e fornite informazioni su regista, attori e contesto storico-sociale dal conduttore Ing. Cesare Quondam Marco, che fornirà ai partecipanti anche fotocopie di documentazione. Ci sarà particolare attenzione alla rappresentazione delle protagoniste femminili e al contesto del Sud Italia.
3. Dibattiti guidati: dopo la visione i partecipanti saranno invitati a discutere le proprie impressioni e riflessioni. Il moderatore stimolerà il dialogo su temi come le relazioni di genere, il matrimonio, il ruolo della famiglia e l’evoluzione della figura femminile nel contesto sociale meridionale.
4. Confronto con le esperienze personali: i partecipanti potranno confrontare i temi dei film con le proprie esperienze di vita, discutendo su come le dinamiche sociali e familiari del Sud Italia siano cambiate o rimaste uguali nel corso del tempo.
Difficoltà:
1. Comprensione del linguaggio cinematografico: alcuni potrebbero trovare difficile interpretare alcuni linguaggi simbolici o metaforici tipici del cinema d’autore. Tuttavia le introduzioni e i dibattiti aiuteranno a chiarire i punti più complessi.
2. Coinvolgimento emotivo: i temi trattati, come l’oppressione delle donne o le dinamiche familiari difficili, potrebbero richiamare esperienze personali delicate e generare emozioni forti nei partecipanti.
3. Memoria dei dettagli: alcuni partecipanti potrebbero avere difficoltà a ricordare i dettagli dei film, ma i dibattiti dopo la proiezione serviranno anche a rivedere insieme i momenti salienti e chiarire eventuali dubbi.
Esiti finali
1. Miglioramento della comprensione critica: alla fine del cineforum, i partecipanti avranno sviluppato una maggiore consapevolezza riguardo al ruolo e alla rappresentazione della donna del Sud nel cinema italiano, così come una maggiore capacità di analizzare i film dal punto di vista critico.
2. Arricchimento culturale: i partecipanti avranno conosciuto o riscoperto capolavori del cinema italiano, comprendendo meglio il contesto storico e sociale che li ha prodotti.
3. Rafforzamento del dialogo e delle relazioni: il cineforum contribuirà a creare uno spazio di condivisione e ascolto, migliorando le relazioni interpersonali tra i partecipanti e stimolando il confronto.
4. Riflessione sulla condizione femminile: al termine del percorso, i partecipanti avranno approfondito la riflessione sulla condizione della donna nel Sud Italia, confrontando la situazione del passato con quella attuale e trovando spunti di discussione anche per il presente.
Il Cineforum "La Donna del Sud nei Film d'Autore" dunque fornisce l’occasione per vivere un’esperienza culturale unica e stimolante, permetterà di riscoprire grandi classici del cinema italiano, riflettere su temi profondi e attuali e condividere le proprie opinioni con altre persone in un ambiente accogliente e conviviale, esplorare un mondo di storie ed emozioni che coinvolgeranno e faranno riflettere.
Anche chi non è un esperto di cinema sarà piacevolmente coinvolto perché gli incontri sono pensati per permettere a tutti di partecipare, comprendere e apprezzare i film.
Relazione introduttiva del Curatore della rassegna Ing. Cesare Quondam Marco
Anche quest’anno l’Università della Terza Età Città di Gubbio ha ritenuto opportuno riproporre l’iniziativa di un Cineforum che tanto successo ha riscontrato tra gli appassionati cinefili iscritti alla nostra Associazione con il ciclo su Billy Wilder e quello su Woody Allen.
Ogni Cineforum è opportuno che abbia un filo conduttore che accomuni in qualche modo le opere proposte. Nei due anni precedenti ho fatto riferimento ai due registi sopra citati, quest’anno ho pensato, come filo conduttore, a un tema comune trattato da famosi registi italiani degli anni ‘60/’70. Questo tema ha uno stretto rapporto con il problema della condizione femminile e dei diritti della donna. Problema questo che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che, se in parte è stato risolto in molti paesi, soprattutto occidentali, anche se permangono vaste zone d’ombra, vedi ancora i troppi casi di femminicidio che riguardano anche il nostro paese, tuttora sussiste in forme drammatiche in tante parti del mondo.(Continua a leggere)
A tale riguardo basti pensare ad alcuni paesi islamici, tipo l’Iran, dove le donne possono essere imprigionate e picchiate per il solo fatto di non aver indossato il velo nel modo ortodosso, oppure in Afghanistan dove recenti leggi hanno inasprito le condizioni della libertà delle donne, proibendo loro di studiare e accedere alle Università, di parlare in pubblico, di prendere il taxi da sole (lo possono fare solo se accompagnate da un uomo che sia il marito o un membro maschio della loro famiglia).
Di queste problematiche si è spesso occupata la cinematografia internazionale (ricordiamo per tutti il film “Thelma e Louise”) e non ultima anche quella italiana. Quindi ho creduto opportuno dare spazio su questo tema ai film italiani degli anni ‘60/’70. Ricordiamo che il cinema italiano è stato sempre ai vertici della cinematografia mondiale con grandi registi, eccezionali attori, ha vinto premi che vanno dagli Oscar di Hollywood alle Palme d’oro di Cannes, al Leoni d’oro di Venezia, agli Orsi d’oro di Berlino. Il nostro cinema ha inoltre inventato dei veri e propri generi, pensiamo al neorealismo, alla commedia all’italiana, agli spaghetti western.
Il titolo della rassegna l’ho riassunto in “La donna del Sud nei film italiani d’Autore”. L’allusione al meridione scaturisce dal fatto che questi film sono ambientati prevalentemente nel sud a testimonianza che in quella parte d’Italia forse si riscontrava maggiormente, per usi e costumi atavici, la mancanza di rispetto dei diritti della donna.
Non dimentichiamo poi che in Italia gravi storture ci furono in tal senso anche dal punto di vista legislativo, basti ricordare il voto alle donne introdotto solo nel 1946, l’ articolo 587 del Codice Penale Fascista (Codice Rocco) che introduceva il delitto d’onore che prevedeva pene irrisorie per l’uomo (padre, marito o fratello) che avesse ucciso una donna (figlia, moglie o sorella) colpevole di aver avuto (dice testualmente l’articolo) illegittima relazione carnale con conseguente grave offesa all’onore suo o della famiglia, articolo di legge abolito soltanto nel 1981. E ancora: l’articolo 544 del Codice Penale Zanardelli del 1889 che considerava lo stupro come un reato solo contro la moralità pubblica e permetteva allo stupratore di evitare la condanna sposando la vittima (cosiddetto matrimonio riparatore) Soltanto nel 1981 anche questo articolo fu abolito e lo stupro fu considerato come una vera e propria violenza contro la persona con pene adeguate, facendo così un importante passo verso la protezione dei diritti delle vittime di violenza sessuale.
Su questi temi il cinema italiano ha proposto varie opere per mano di famosissimi registi, da Pietro Germi a Mario Monicelli, da Vittorio De Sica ad Ettore Scola, a Luigi Zampa, da cui sono stati tratti i film che compongono la rassegna del Cineforum di quest’anno.
L’arco di tempo va dal 1961 al 1977, anni in cui fu anche accesissimo il dibattito sull’introduzione del divorzio in Italia (legge approvata nel 1970), altra tappa miliare nel cammino dell’emancipazione femminile. L’ultimo esempio cinematografico di questo genere di film è stato il recente C‘è ancora domani di Paola Cortellesi, che ha riscosso grande favore di pubblico e di critica. A questo proposito altra notazione degna di rilievo è che i film proposti di quell’epoca si presentano in una veste più incline alla commedia all’italiana e cioè con toni ironici e spesso, pur nella serietà e drammaticità dei temi trattati, comici al contrario del film della Cortellesi.
Questi film dunque si presentano come delle opere che, pur facendo riflettere prendendo spunto da argomenti molto seri, non mancano di farci sorridere con la loro intelligente ironia.
TITOLI DELLA RASSEGNA
DIVORZIO ALL’ITALIANA (P. GERMI) anno 1961 con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli
LA RAGAZZA CON LA PISTOLA (M. MONICELLI) anno 1968 con Monica Vitti e Carlo Giuffrè
SEDOTTA E ABBANDONATA (P. GERMI) anno 1964 con Stefania Sandrelli, Aldo Puglisi, Saro Urzì e Lando Buzzanca
MATRIMONIO ALL’ITALIANA (V. DE SICA) anno 1964 con Marcello Mastroianni e Sophia Loren
I GIRASOLI (V. DE SICA) anno 1970 con Marcello Mastroianni e Sophia Loren
ROMANZO POPOLARE (M. MONICELLI) anno 1974 con Ugo Tognazzi, Ornella Muti, Michele Placido
UNA GIORNATA PARTICOLARE (E. SCOLA) anno 1977 con Marcello Mastroianni e Sophia Loren
BELLO, ONESTO, IMMIGRATO AUSTRALIA SPOSEREBBE COMPAESANA ILLIBATA (L. ZAMPA) anno 1971 con Alberto Sordi e Claudia Cardinale
“DIVORZIO ALL'ITALIANA”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
è un film italiano del 1961 diretto da Pietro Germi. Presentato in concorso al Festival di Cannes 1962, vinse il premio come miglior commedia e ottenne anche tre candidature all'Oscar vincendo la statuetta per la miglior sceneggiatura originale. Considerato come uno dei film più rappresentativi del genere della commedia all'italiana, costituisce una trilogia sulla società italiana e i suoi costumi insieme a Sedotta e abbandonata e Signore & signori con il quale fa parte della lista dei 100 film italiani da salvare. (Continua a leggere)
Interpretato magistralmente da Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, fonde e riassume nella sua trama, che oscilla sempre tra il comico, il drammatico e il farsesco, due aspetti estremamente seri che condizionavano pesantemente la condizione femminile dell’epoca e cioè il tema del delitto d’onore e quello del divorzio. Tema quest’ultimo che in quel periodo lacerava profondamente le coscienze degli italiani. E’ stato un film che, in un certo senso, ha fatto epoca proprio per le considerazioni che suggeriva su certe rivoluzioni in atto nel costume e nel comune sentire della società italiana.
La storia è ambientata nella Sicilia dei primi anni Sessanta, nella cittadina immaginaria di Agramonte, dove vive la nobiliare famiglia Cefalù, il cui riferimento è il barone Ferdinando detto Fefè (Marcelo Mastroianni). In realtà la sua è una nobiltà decaduta, come per tutti i titoli con l’avvento della Repubblica, i quali non hanno più valore.
Il protagonista approfitta in modo criminale di una legge che puniva, se non quasi simbolicamente, chi si macchiava di un delitto cosiddetto d’onore, per liberarsi di una moglie, Rosalia (Daniela Rocca) petulante, irascibile e intrattabile, dando così luogo ad un “divorzio” frutto di un delitto, per impalmare la giovanissima cugina Angela (Stefania Sandrelli). E’ questa una trovata assolutamente geniale che denunciava contemporaneamente sia l’assurdità di quell’articolo 587 del Codice Penale Fascista del 1930 (Codice Rocco) sia i tempi maturi per una nuova legge che regolamentasse il matrimonio in Italia, poi promulgata nel settembre del 1970.
Il finale poi, assolutamente ironico e burlesco, corona una vicenda che fa al tempo stesso sorridere ma anche riflettere su temi fondamentali che all’epoca stavano emergendo con tutta la loro impellenza circa la vita civile della società italiana.
Pietro Germi, regista, attore, sceneggiatore e produttore, è stato un uomo di cinema nel senso più ampio della parola, ma che non trova il giusto risalto negli annali, come invece meriterebbe. Egli fu un attento osservatore dell’evoluzione sociale: le sue opere raccontavano storie di persone ma anche il contesto nel quale le loro azioni si sviluppavano, nel bene e (più spesso) nel male. Adorava la Sicilia, ne amava i paesaggi, l’arte, l’architettura e anche la gente, ma non poteva accettare che il cambiamento non fosse mai arrivato in quella terra soffocata dalla cattiva politica e dalla criminalità organizzata ed ancora legata alle tradizioni tardo settecentesche. Pertanto non risparmiò una dura critica a quella terra e alle sue problematiche, attraverso due film che è possibile analizzare tanto sul piano narrativo che sociologico: Divorzio all'italiana e il successivo Sedotta e abbandonata (1964) nel quale, accanto a tematiche simili a quelle dell'opera precedente, emersero toni ancora più amari e rassegnati. Il film è ambientato in una Sicilia che non esiste più, ma che in quegli anni appariva del tutto fuori dal tempo, con regole sociali arcaiche e condotte morali discutibili, ancorate a una cultura maschilista, reazionaria e retrograda.
Don Fefè è un uomo rappresentante di una società incentrata sui maschi ai quali tutto è concesso: divertimenti, svago, difesa dello status quo, diritto a campare di rendita (senza lavorare un solo giorno) e, soprattutto, a fuggire dalla noia. Ma se è vero che in questo angolo di Sicilia narrato da Germi l'Ottocento sembrava non essere mai finito, è ancor più vero che la legge italiana del secondo dopoguerra era ancorata ad alcune convenzioni e regole sociali provenienti dalla dittatura fascista e dallo Statuto Albertino, che affondava a sua volta le proprie radici nel diciannovesimo secolo, sia negli anni precedenti al Risorgimento che in quelli immediatamente seguenti, dove i diritti erano garantiti solo ai nobili, al clero e ai ricchi, e solo se uomini. Le donne, invece, erano un semplice complemento sociale.
Articolo 587 del Codice Rocco
Così non può certo stupire se nel codice penale introdotto nel 1930 trovava posto un articolo come il 587, che al comma primo recitava: "Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni". Una riduzione sostanziale del reato di omicidio, la cui sanzione è sempre stata molto più grave, concessa per il solo fatto della "difesa dell'onore". A questa follia avrebbe messo la parola fine la legge 442 soltanto nel 1981, che abrogò tanto l'art. 587 quanto il 544 (matrimonio riparatore) e il 592 (abbandono di un neonato per causa di onore). Tutte norme figlie di una stessa mentalità arcaica, che nulla poteva avere a che fare con uno stato di diritto moderno e una repubblica democratica.
“LA RAGAZZA CON LA PISTOLA”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
La ragazza con la pistola è un film del 1968 diretto dal regista Mario Monicelli. Il film ha come tema centrale il senso dell’onore nella Sicilia degli anni ‘60, onore inteso soprattutto come il patrimonio di illibatezza di ogni giovane donna nubile.
A questo concetto si riallacciava poi la pratica del cosiddetto matrimonio riparatore previsto dall’articolo 544 del Codice Penale risalente al 1889 del governo Zanardelli per cui per legge il matrimonio estingueva qualsiasi reato commesso da un uomo che rapiva e deflorava una ragazza, alla quale per altro non restava altra via, per l’appunto per salvare il proprio onore, che quella del matrimonio con il proprio aguzzino.(Continua a leggere)
La vicenda del film prende l’avvio in un fittizio paese siciliano (in realtà le riprese vennero effettuate in Puglia, a Polignano a mare) dove un tale Vincenzo Maccaluso (l’attore Carlo Giuffrè) commissiona a dei sicari il rapimento di una ragazza proprio per poi approfittare del matrimonio riparatore e quindi sposarla, ma i sicari sbagliano persona e rapiscono Assunta Patanè (magistralmente interpretata da Monica Vitti).
Lei in realtà è segretamente innamorata di Vincenzo e, una volta portata da lui, si lascia sedurre senza troppe difficoltà. Il giorno dopo però Vincenzo, per nulla intenzionato a sposare Assunta, parte per l’Inghilterra.
La ragazza a questo punto sente, profondamente pervasa com’è dai pregiudizi della sua terra, di dover difendere il suo onore, ma lo deve fare di persona giacchè la sua famiglia è composta di sole donne.
Parte quindi per l’Inghilterra decisa a costringere Vincenzo al matrimonio sotto la minaccia della pistola che porta con sé o, in alternativa, ad ucciderlo.
Il 1968 in Inghilterra è un anno di profondi cambiamenti che investono i costumi della società, fioriscono le minigonne, i capelloni, la musica dei Beatles, è una realtà libera e cosmopolita in cui la donna è finalmente proiettata verso la sua completa emancipazione.
Il film perciò narra la storia di un viaggio verso il riscatto e la liberazione che fa scoprire ad Assunta un mondo nuovo e la trasforma nei suoi atteggiamenti, nel suo vestire, nei comportamenti e nel modo di pensare, ormai libero dalla convenzioni ipocrite e dai pregiudizi che fin qui la condizionavano.
Il personaggio di Assunta dunque è in lotta con il passato, la sua personalità si evolve e cresce, al contrario di Vincenzo che rimane sempre uguale ancorato al suo retrogado mondo di maschio siciliano.
Monica Vitti è meravigliosa nel suo ruolo di ragazza siciliana disonorata, legata ai principi e ai valori di un mondo che va scomparendo, stupenda poi anche nella sua metamorfosi in girl inglese moderna, libera ed emancipata.
Questo film segnò una svolta nella carriera di Monica Vitti impegnata fino ad allora solo in ruoli drammatici (vedi L’eclisse, Deserto rosso di Michelangelo Antonioni).
Monicelli scoprì le sue doti di brillante attrice comica facendola così diventare una colonna portante della Commedia all’Italiana.
“SEDOTTA E ABBANDONATA”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Il film fu diretto nel 1964 dal regista Pietro Germi, lo stesso di Divorzio all’italiana, ed è ambientato anche questo nel cuore della Sicilia degli anni ‘60 nel paese di Sciacca. Anche le tematiche trattate sono simili e si imperniano soprattutto su di un grottesco senso dell’onore e sulla scellerata pratica del matrimonio riparatore. Come in Divorzio all’italiana, Germi tratteggia con feroce ironia un mondo pervaso dai pregiudizi e dall’ipocrisia con toni se possibile ancora più amari e rassegnati.
Nel film Peppino Califano, l’attore Aldo Puglisi, promesso sposo di Matilde Ascalone, concupisce e fa sua, in un torrido pomeriggio d’estate, Agnese (Stefania Sandrelli) la sorella di Matilde segretamente innamorata di lui. La cosa resta segreta fino a quando il padre della ragazza, Don Vincenzo Ascalone (l’attore Saro Urzì), insospettito da certi comportamenti della figlia, scopre che è incinta. (Continua a leggere)
A questo punto scoppia un dramma familiare e gli eventi precipitano anche in considerazione del fatto che il giovanotto in questione rifiuta categoricamente il cosiddetto matrimonio riparatore richiesto dal padre della ragazza, adducendo come motivo che lei non era più vergine e che cedendo gli avrebbe dimostrato di essere una poco di buono. La famiglia pertanto viene gettata nella costernazione più totale e il padre pensa che non gli resti altro che ricorrere al delitto d’onore per lavare l’onta, indicando il fratello di Agnese, Antonio (Lando Buzzanca), come l’autore naturale del gesto.
Ma le cose non sono così semplici e la vicenda si dipana in un susseguirsi incalzante di situazioni tragicomiche dove emerge, da parte di Germi, l’impietosa rappresentazione di una Sicilia arcaica, pervasa di pregiudizi ed ipocrisia, dove la donna ha solo un ruolo assolutamente subalterno e viene considerata quasi come un oggetto.
Il cosiddetto senso dell’onore consisteva nel patrimonio dell’illibatezza che doveva essere gelosamente custodito per poi magari barattarlo in un matrimonio di convenienza deciso dalla famiglia più che dalla volontà e dai desideri della ragazza di turno.
Una considerazione a parte merita il cosiddetto matrimonio riparatore. Questa norma era contenuta nell’articolo 544 del Codice Penale Zanardelli del 1889 che considerava lo stupro come un reato solo contro la moralità pubblica e non contro la persona e permetteva al colpevole, e anche a tutti coloro che lo avevano aiutato, di evitare la condanna per i reati commessi, quindi anche il rapimento, semplicemente sposando la vittima.
Questa consuetudine, avallata anche dalla legge, era considerata fino ad allora come una soluzione necessaria per salvare l’onore della famiglia, sorvolando sulla sua brutalità e sull’ingiustizia che tale pratica faceva subire alla vittima. Questa norma veniva sfruttata non solo da chi voleva sposare una ragazza contro la sua volontà e la rapiva, ma anche ad esempio da due giovani la cui unione era contrastata dalle famiglie attuando la cosiddetta fuitina.
Il caso di Franca Viola fu emblematico nella storia del matrimonio riparatore. Nel 1965 infatti, un anno dopo l’uscita del film, una ragazza diciassettenne di Alcamo, provincia di Trapani, Franca Viola appunto, fu rapita, picchiata e violentata da Filippo Melodia e dai suoi complici. Nonostante le pressioni sociali e dei familiari, Franca rifiutò il matrimonio riparatore diventando così la prima donna ad opporsi pubblicamente a tale pratica, suscitando un enorme scalpore a livello nazionale.
Nel processo che ne seguì quindi Filippo Melodia fu condannato a 10 anni di carcere per il sequestro di persona e i reati contro la morale. L’atto di coraggio di Franca Viola contribuì alla successiva abolizione dell’articolo sul matrimonio riparatore nel 1981 e lo stupro fu quindi considerato come violenza contro la persona con pene severe. Fu così fatto un importante passo verso la protezione dei diritti delle vittime di violenza sessuale.
Pietro Germi punta il dito verso questo mondo di una Sicilia che all’epoca esisteva ancora e che tutt’oggi non è del tutto scomparso.
Da sottolineare l’interpretazione di Stefania Sandrelli, ma soprattutto quella dell’attore Saro Urzì che interpreta il sanguigno padre di Agnese, Don Vincenzo Ascalone, e che vinse con questo film il premio quale miglior attore al festival di Cannes del 1964. Da notare anche che le musiche della colonna sonora sono del musicista Carlo Rustichelli, lo stesso di Divorzio all’italiana.
“MATRIMONIO ALL'ITALIANA”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Matrimonio all’italiana è un film del 1964 diretto da Vittorio De Sica e interpretato da Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Il titolo fa il verso all’altro film del 1961 Divorzio all’italiana diretto da Pietro Germi, ma con contenuti molto differenti anche se sempre inerenti alla condizione femminile.
La vicenda si svolge a Napoli ed è tratta dalla famosissima commedia teatrale Filumena Marturano scritta nel 1946 per sua sorella Titina da Eduardo de Filippo, commedia molto rappresentata in teatro e pietra miliare nella produzione artistica di Eduardo, essa fu anche più volte rappresentata in televisione. (Continua a leggere)
Ho scelto questo film per il cineforum dedicato alla condizione femminile negli anni passati perché la protagonista è una donna che ha subito profonde ingiustizie dagli uomini e dalla società maschilista e perciò si ribella con le sole armi che possiede: il suo coraggio e la sua arguta intelligenza, mettendo in atto stratagemmi che la possano finalmente affrancare dalla sua condizione di persona subalterna ed umiliata.
Il personaggio infatti di Filumena Marturano è quello di una donna che, per la profonda indigenza familiare, è stata, poco più che adolescente, costretta ad entrare in una di quelle case di tolleranza che in epoca fascista erano regolamentate dallo Stato.
Ricordiamo che esse sopravvissero all’avvento della Repubblica fino al 1958 quando la senatrice Lina Merlin presentò una legge, poi approvata, che aboliva le cosiddette ‘case chiuse’ e introdusse il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
La legge fu sicuramente un passo significativo ed importante nella lotta per i diritti delle donne e nella promozione della dignità umana, anche se purtroppo non riuscì a debellare del tutto il fenomeno della prostituzione che divenne clandestina, comunque se non altro evitò che continuasse ad essere un’attività vergognosamente avallata dallo Stato e da cui lo Stato ricavava anche dei proventi.
Dalla sua condizione di prostituta Filumena (Sophia Loren) fu alla fine tolta dal ricco commerciante Domenico Soriano (Marcello Mastroianni) innamorato di lei. Nonostante però la sicurezza e anche gli agi che la nuova vita le aveva procurato, non era mai stata accettata dal suo uomo, di cui lei a sua volta era innamorata, come persona degna di vivergli a fianco nell’ufficialità del matrimonio, vergognandosi egli, in realtà, del suo passato di prostituta.
Di qui la caparbia ostinazione di Filumena nel voler vedersi riconoscere, appunto col matrimonio, la propria dignità di donna ed uscire finalmente dal ruolo subalterno ed umiliante di mantenuta. Tutto questo anche per dare un nome e un futuro ai figli avuti negli anni della sua vita passati nella casa di tolleranza.
Il film è la degna opera di un maestro del cinema quale è stato Vittorio De Sica e ha riscosso un grande successo sia di pubblico sia di critica vantando la candidatura all’ Oscar quale miglior film straniero e la candidatura di Sophia Loren quale migliore attrice protagonista, anche se Eduardo De Filippo giudicò il film piuttosto come un prodotto commerciale, se raffrontato con la sua opera teatrale.
L’interpretazione poi di Sophia Loren e Marcello Mastroianni è senz’altro magistrale e li fa quindi a buon titolo inserire nel ristretto novero dei più grandi attori cinematografici italiani.
“I GIRASOLI”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
I Girasoli è un film del 1970 in cui Vittorio De Sica dirige, ancora una volta magistralmente, la coppia Sophia Loren e Marcello Mastroianni. È un film drammatico-sentimentale molto complesso dove più temi si intrecciano toccando le corde più profonde dell’animo umano.
Innanzitutto il tema dell’amore che nasce irrefrenabile tra i due protagonisti, Giovanna (Sophia Loren) e Antonio (Marcello Mastroianni), che però vengono ben presto separati dal destino sotto forma della guerra che costringe Antonio a partire, nonostante tutti i suoi sforzi per evitarlo.Egli infatti è costretto ad arruolarsi e viene mandato sul fronte russo. (Continua a leggere)
A questo proposito dobbiamo ricordare che il corpo di spedizione ARMIR (Armata Italiana Russia), al seguito di quello tedesco, era composto da 270.000 uomini: di questi 32.000 furono feriti o mutilati per congelamento e ben 75.000 non fecero più ritorno. Solo di pochi di loro si seppe per certo che erano morti per la testimonianza dei loro commilitoni che si erano salvati, di tutti gli altri, la maggioranza, non si seppe più nulla, probabilmente morti mentre si ritiravano a piedi tra la neve nelle sterminate pianure della steppa russa, deceduti più per la fame e il freddo che non per il fuoco del nemico che li incalzava. Testimonianze terribili di questa tragedia sono stati poi i molti racconti e scritti dei sopravvissuti.
Tra questi il libro Centomila gavette di ghiaccio, romanzo storico di Giulio Bedeschi, medico militare e veterano della campagna di Russia, pubblicato nel 1963 e considerato uno dei capolavori della letteratura italiana sulla seconda guerra mondiale. Opera toccante e commovente sui sacrifici e le sofferenze degli alpini italiani della divisione Jiulia durante la ritirata di Russia sul fronte del Don.Per molti anni dopo la fine della guerra, il termine disperso in Russia riecheggiò in molte famiglie italiane.
Antonio, il protagonista della pellicola, è uno di questi e il film descrive mirabilmente, sotto le vesti di sua moglie Giovanna, tutta l’angoscia dei familiari dei dispersi, la cui situazione era forse ancora più terribile di quella delle famiglie dei morti. A questo punto emerge tutto l’amore e la caparbietà della protagonista che non si rassegna a pensare che il suo amato sia morto e, dopo aver atteso inutilmente e chiesto di continuo notizie alle autorità e ai reduci, decide, pur consapevole delle enormi difficoltà che le si presenteranno, di partire per la Russia nel tentativo disperato di rintracciarlo.
Mirabili sono le scene delle sterminate pianure russe coperte di girasoli e qui viene spiegato anche il significato commovente del titolo del film. Altrettanto toccanti sono le scene della ritirata dei soldati italiani nella neve.
La protagonista alla fine troverà il suo Antonio, ma andrà incontro ad una amara sorpresa. Il finale del film poi, in cui i due protagonisti pur ritrovandosi ed amandosi ancora non se la sentono di rinnegare i propri doveri sopraggiunti con una nuova realtà, ha un profondo significato etico e morale anche se lascia lo spettatore con un leggero senso di delusione, frutto questo però del duro destino imposto da quella scelleratezza umana che è la guerra.
Il film pertanto presenta un forte messaggio antimilitarista, mettendo in rilievo tutte le tragedie materiali e morali a cui inevitabilmente portano le guerre, al tempo stesso evidenzia anche la forza dell’amore e della speranza che spingono la protagonista a perseverare con ammirevole tenacia nella sua disperata ricerca.
Da sottolineare la colonna sonora del film opera del famoso compositore Henry Mancini, colonna che ebbe la nomination all’Oscar e che si adatta perfettamente all’atmosfera malinconica e tragica della vicenda.
“ROMANZO POPOLARE”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Romanzo popolare è un film del 1974 ed è considerato uno dei migliori esempi di commedia drammatica degli anni ‘70. La regia è di Mario Monicelli, lo stesso regista di La ragazza con la pistola; gli interpreti sono Ugo Tognazzi, la giovanissima Ornella Muti, aveva 19 anni, e Michele Placido.
In questo film Monicelli, alternando il dramma con la comicità e l’ironia, riunisce vari aspetti e problematiche della società italiana degli anni ‘70. Innanzitutto descrive la realtà operaia delle grandi fabbriche del Nord nelle quali erano confluite ingenti masse di lavoratori provenienti dal Sud, con il loro bagaglio di pregiudizi e difficoltà di adattamento al nuovo ambiente.
A questa classe operaia appartiene il milanese Giulio Blasetti, interpretato da un efficacissimo Ugo Tognazzi, personaggio che, lui cinquantenne, sposa una giovanissima ragazza del Sud, Vincenzina (Ornella Muti), che rappresenta per lui un modo per affermare la propria posizione sociale e la propria autorità, sia all’interno della coppia che della società. (Continua a leggere)
Giulio è un marito affettuoso ma, anche se lui crede di essere di mentalità aperta e moderna, al contempo estremamente possessivo e condizionato da pregiudizi.
Questo dualismo fra amore e gelosia è uno degli elementi chiave del film e rappresenta una critica tagliente alla mentalità maschilista che ancora albergava a quei tempi all’interno della coppia.
Il film esplora quindi temi come la gelosia, l’ipocrisia, i pregiudizi nei confronti della figura femminile, ma anche le difficoltà quotidiane in cui si dibatte la gente comune delle grandi metropoli. Descrive quindi le lotte operaie di quel periodo per il miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro, lotte in cui il protagonista Giulio è coinvolto sentendosi interprete delle istanze della classe lavoratrice.
L’interpretazione di Ugo Tognazzi è al tempo stesso comica e tragica, riflettendo pienamente la complessità della vita reale. L’altro personaggio centrale del film è poi Vincenzina, Ornella Muti, ragazza poco più che adolescente, bellissima, vivace, ingenua, la cui provenienza dalla provincia di Avellino fa mettere in evidenza le differenze culturali e sociali tra il Nord e il Sud d’Italia.
Il suo matrimonio con Giulio, molto più anziano di lei, rappresenta un’unione basata più su delle convenzioni sociali e sull’ esigenza di una sistemazione economica che non su un amore genuino, fenomeno soprattutto legato al Sud della penisola.
Il personaggio però di Vincenzina evolve nel corso del film, passando da quello di una ragazza ingenua e sottomessa a quello di una donna consapevole dei propri desideri e delle proprie necessità.
Il suo incontro con Giovanni, un giovane carabiniere interpretato da Michele Placido, accende in lei un senso di ribellione e un desiderio di indipendenza, portandola a mettere in discussione il suo ruolo all’interno del matrimonio e della società.
L’interpretazione di Ornella Muti è di rara intensità ed efficacia nel mostrare le trasformazioni che via via emergono nel suo personaggio ricco di sfumature che, attraverso la sua crescita personale, fornisce una potente critica sociale e uno sguardo approfondito sulla condizione femminile dell’epoca.
Nell’epilogo Vincenzina conquista la sua indipendenza e si libera finalmente di chi voleva ingabbiarla come un oggetto di sua esclusiva proprietà, questo anche a prezzo di un latente senso di solitudine che forse la farà riavvicinare a Giulio, arrivando così ad un finale aperto.
Come ultima notazione si può osservare come ci sia una forte analogia di questo film con il film La ragazza con la pistola, in entrambi infatti la protagonista fa un percorso di crescita e di emancipazione che la porta a prendere coscienza dei propri diritti e a liberarsi dai lacci di una mentalità maschilista e possessiva.
La colonna sonora con la canzone Vincenzina è di Enzo Jannacci.
“UNA GIORNATA PARTICOLARE”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Una giornata particolare è un film del 1977 diretto dal regista Ettore Scola e interpretato magistralmente dalla coppia Sophia Loren e Marcello Mastroianni (i due grandi attori hanno girato complessivamente ben 14 film insieme). L’opera è considerata fra i migliori film della cinematografia italiana e ha ricevuto un premio al Festival di Cannes e due nomination all’Oscar.
La vicenda si svolge tutta in un appartamento di un grande condominio il 6 maggio 1938, giorno della parata militare in onore della visita di Hitler a Roma. Il caseggiato è deserto in quanto tutti sono usciti per assistere alla manifestazione in onore del dittatore tedesco. Solo due persone sono rimaste e casualmente si incontrano: una casalinga, Antonietta (interpretata da Sophia Loren), madre di sei figli e in attesa del settimo (al settimo figlio infatti il governo fascista elargiva un premio) e un ex dipendente dell’E.I.A.R., l’ente radiofonico fascista, Gabriele (interpretato da Marcello Mastroianni).
I filmati d’epoca, che mostrano l’arrivo di Hitler e la città di Roma pronta ad accoglierlo, guidata dall’abile regia della propaganda fascista, ci fanno entrare subito in quel contesto che è alla base della storia e che lo spettatore non perde mai di vista grazie alla radiocronaca della sfilata dei due dittatori che percorre tutto il film e che, per contrasto, sottolinea ancora di più la distanza tra il l’esaltazione acritica di una massa informe e le solitudini interiori dei due protagonisti. (Continua a leggere)
I due personaggi sono, ognuno a suo modo, degli emarginati e rappresentano due solitudini, due esseri umani vittime di una società oppressiva e prevaricatrice, che trovano piano piano in questo breve incontro un’occasione per aprirsi e confidarsi e per uscirne alla fine cambiati.
La casalinga è la tipica donna dell’epoca fascista, assoggettata a due padroni, il marito e l’ideologia del regime, infatti è considerata soltanto come procreatrice di figli destinati a esaltare con le armi la gloria della patria (non a caso il Governo aveva messo una tassa sugli uomini non sposati), per il resto il compito della donna era esclusivamente quello di accudire alla casa, al marito e alla prole con nessuna possibilità di avere idee proprie o prendere qualsivoglia iniziativa (patriarcato) e con l’obbligo altresì di allinearsi pedissequamente alle idee del regime.
Il personaggio di Antonietta sembra inizialmente non accorgersi di questa sua situazione e accettare passivamente e come normale questo suo ruolo subalterno.
L’altro personaggio, Gabriele, è un dipendente dell’ E.I.A.R. licenziato perché omosessuale e in attesa di essere mandato al confino ed è così disperato al punto di meditare il suicidio. Il regime lo considera infatti un reietto perché un vero uomo deve essere marito, padre e soldato e il personaggio di Gabriele non è nessuno di questi. Gli omosessuali da Hitler venivano mandati nei campi di sterminio e nelle camere a gas insieme agli ebrei; Mussolini si limitava a togliere loro il lavoro e a mandarli al confino, condannandoli così alla morte sociale e civile.
Tra i due, così diversi per carattere, cultura e stato sociale, nascerà subito una tenera complice intesa. Nello spazio della sfilata, organizzata per esaltare la retorica di un dittatore che condurrà nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale quello stesso popolo che lo sta osannando, Antonietta e Gabriele, tra esplicito e sottinteso, stabiliranno un rapporto profondo che li farà sentire a loro agio. Potranno così esprimere la propria autentica personalità, quindi riusciranno a sentirsi meno soli e in loro si accenderà una luce di speranza in relazioni più umane, nonostante il clima torbido e repressivo della dittatura.
I due personaggi nel finale, dopo essersi confrontati, usciranno cambiati: Antonietta aprirà gli occhi sulla sua condizione di non vita, ma questo non la solleverà, anzi al contrario le farà prendere coscienza della sua infelicità, Gabriele poi imparerà ad accettare la sua condizione e a lottare per apprezzare la vita stessa, rinunciando ai suoi propositi di auto annientamento.
Il film esce nel 1977, quando ruoli e parole legate all’omosessualità erano perlopiù riferiti ad una cinematografia comica, ironica, sarcastica. Gabriele è omosessuale ma per Ettore Scola, forse per la prima volta nel cinema italiano, è innanzitutto una persona. Una visione diversa ed originale del mondo e delle relazioni fanno di Una Giornata Particolare una pellicola delicata e raffinata pur nella sua forza, potenza e a volte crudeltà di immagini e dialoghi.
Sophia Loren e Marcello Mastroianni in Una Giornata Particolare dimostrano tutto il loro talento e la grande intuizione di Ettore Scola è quella di aver scelto come interpreti in ruoli di solitudine ed emarginazione due attori che allora erano vere e proprie star e simboli di bellezza, gioventù e successo internazionale. La Loren e lo stesso Scola raccontarono poi che l’attrice in un primo momento era titubante e non si sentiva completamente in grado di accettare un ruolo così impegnativo, ma che fu lo stesso Mastroianni a incoraggiarla e poi convincerla. Tra i due attori ci fu sempre un rapporto di grande stima e intesa, sia sul piano personale che su quello professionale.
Il film di Scola si colloca nella storia della cinematografia italiana come una profonda voce critica contro il periodo fascista, dove tutti dovevano essere omologati ai canoni e alle tesi del regime, reprimendo quindi ogni individualità e libertà di espressione personale.
“BELLO, ONESTO, EMIGRATO AUSTRALIA SPOSEREBBE COMPAESANA ILLIBATA”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata è un film del 1971 diretto dal regista Luigi Zampa. E’ il tipico film di quel filone della cinematografia che va sotto l’appellativo di commedia all’italiana e che prende spunto, in questo caso, da una realtà storica: quella di milioni di italiani che nel corso dei decenni presero la via dell’immigrazione alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita nelle più lontane contrade d’oltremare.
Perlopiù si trattava di giovani, anche se non mancavano a volte famiglie con bambini, che si ritrovavano isolati e non integrati, sia per via della lingua sia per i diversi usi e costumi locali, nella nuova realtà sociale. (Continua a leggere)
Nel tentativo di superare la solitudine e con il desiderio di formarsi una famiglia, molti di loro ricorrevano ai cosiddetti matrimoni per procura. Infatti, con l’aiuto molto spesso di parroci e religiosi, prendevano contatto con il paese d’ origine e, quasi sempre in base ad una semplice fotografia, sceglievano e a loro volta venivano scelti per arrivare a contrarre matrimonio, appunto per procura, a migliaia di chilometri di distanza.
Una tale procedura va da sé che comportasse un elevato tasso di rischio, non essendoci alla base dell’unione una conoscenza vera e propria dei due contraenti.
Le donne che si rendevano disponibili a una tale pratica erano a loro volta delle mezze disperate, non avendo trovato un marito per vie cosiddette normali. Certamente non erano esempi di avvenenza, sicuramente provenivano da famiglie poverissime, a volte erano persino anche ragazze madri.
Il film gioca su tutti questi fattori per imbastire una vicenda che vede come protagonisti un efficacissimo Alberto Sordi e una altrettanto brava Claudia Cardinale.
Sordi impersona magistralmente un emigrato in Australia, Amedeo Foglietti, goffo ed ingenuo, confinato in un agglomerato di pochissime case nello sconfinato e desertico entroterra australiano, che cerca appunto un’anima gemella in Italia.
Infatti è solo, in un paese ostile, malato di silicosi ed epilessia, sorretto dalla speranza di trovare una compagna illibata, affettuosa e comprensiva nei riguardi dei suoi malanni.
Lei, Carmela, interpretata da Claudia Cardinale, è una donna volitiva e determinata che vuole fuggire dalla sua condizione di prostituta sottomessa ad uno sfruttatore violento per rifarsi una vita.
I due entrano in contatto epistolare tramite un missionario conosciuto da Amedeo, ma entrambi, in qualche modo, mentono sulla propria identità nascondendo una realtà di sofferenza e di dolore.
Lui finge di essere un benestante capostazione, Carmela nasconde di essere una prostituta ed è attratta dalla falsa promessa di una vita piena di agi in un mondo quasi fiabesco.
Le due illusioni si scontreranno con la dura realtà, ma troveranno comunque alla fine un punto di incontro in una reciproca e rassegnata accettazione.
È un’opera questa che è un ritratto riuscito del migrante italiano, della sua solitudine, degli enormi sacrifici per avere una donna accanto e sposarsi. Il tutto ambientato nei paesaggi mozzafiato di una Australia suggestiva ed esotica.
“DRAMMA DELLA GELOSIA”
Presentazione a cura dell’Ing. Cesare Quondam Marco
Dramma della gelosia, film del 1970 diretto da Ettore Scola, è un caposaldo della commedia all’italiana che usa toni grotteschi per stigmatizzare vizi ed ipocrisie della società italiana gettando uno sguardo disilluso su di essa che, passata la sbornia del boom, si ritrova sempre più povera ed incattivita.
L’Italia degli anni Settanta infatti ha subito una progressiva fase di involuzione culturale, che si è trasformata in regressione sociale e economica con sempre più distanze tra poveri e ricchi e la vicenda narrata dal film è inserita all’interno di questo contesto politico e socio - culturale.
E’ la storia di un menage a trois tra tre componenti del sottoproletariato romano: Oreste (Marcello Mastroianni), muratore con un vistoso tic alle sopracciglia; Adelaide (Monica Vitti), fiorista al Verano, il cimitero di Roma, con una certa tendenza al facile innamoramento e Nello (Giancarlo Giannini), pizzaiolo toscano, irruento e politicamente estremista. (Continua a leggere)
L’espediente di far parlare in macchina i protagonisti è uno dei punti di forza della sceneggiatura che presenta momenti davvero esilaranti.
Un’altra particolarità assolutamente geniale è il tipo di linguaggio di ciascuno dei personaggi. Infatti esso, più che una maniera di esprimersi, è un vero e proprio modo di essere.
La fioraia Adelaide si nutre di fotoromanzi e ad essi si ispira la sua visione del mondo, il suo linguaggio la fa essere l’eroina di un fumetto, la fa vivere fra due amori come in un romanzo illustrato popolare, si sente portatrice di un fato romantico e di un destino di amore e di morte. È un’epoca in cui comincia a imperversare il consumismo e Adelaide si adegua all’imperativo di studiare l’inglese, la lingua del futuro.
Oreste interpreta la parte di un muratore vecchio compagno comunista e si esprime con il gergo che ha appreso frequentando le sezioni del partito, un linguaggio usato di solito per trattare temi politici che viene qui trasferito ai drammi individuali ed amorosi di un operaio.
Il terzo personaggio, Nello, è un pizzaiolo toscano, anarchico, estremista con esperienze extraparlamentari, che in un primo momento ha un rapporto di solidarietà e amicizia con il vecchio comunista, ma in seguito di rivalità amorosa, di tradimento e di rottura.
E qui non si può fare a meno di notare come questo film anticipi temi che, anni dopo, diventeranno materia di analisi sociologica, come il rapporto dei grandi partiti della sinistra ortodossa con i giovani delle frange estremiste di Lotta continua e di Potere operaio, dalle quali nascerà poi il fenomeno eversivo delle Brigate Rosse.
Altro aspetto particolare e assolutamente originale di questo film è il metodo narrativo e il linguaggio ironico cinematografico di un film che non è un giallo, non è un poliziesco, ma è quasi un processo fuori campo, che non si vede, nel quale però i protagonisti della storia sembrano dialogare con i loro futuri giudici.
È un film in definitiva che ha rappresentato una pietra miliare della commedia all’italiana e che vede una eccezionale interpretazione di tutti i protagonisti, ma in particolare di Monica Vitti, che fa di Adelaide un personaggio memorabile nella cinematografia italiana.
CONSEGNA ATTESTATI
Mercoledì 29 Gennaio 2025 la Presidente Luciana Baldinelli ha consegnato gli attestati di presenza al Cineforum "La donna del Sud nei film italiani d'Autore", dopo la conclusione del ciclo di film commentata dal curatore Ing. Cesare Quondam Marco, che ha ricordato la valenza degli incontri e ringraziato i protagonisti.
Gli attstati sono stati consegnati a: Baldinelli Gemma, Baldinelli Luciana, Cardinale Maria Luigia, Carletti Ivana, Ciampoletti Serenella, Ghiandoni Francesco, Ghigi Giovanna Lidia, Gori Giovanna Ines, Lo Gatto Fanny, Manuali Manuela, Mariotti Daniela, Martini Adriana, Menichetti Maria Alfreda, Meniconi Remo, Mischianti Donatella, Panfili Rita, Pierini Bianca Maria, Rogari Maria Cristina, Rogari Raffaella.